La legge Pinto
Nel 1999 con la legge costituzionale n. 2 si è provveduto ad inserire nella struttura normativa dell’articolo 111 Cost. una serie di principi volti a garantire il c.d. “giusto processo”.
Quando si applica la legge Pinto?
La disposizione si apre con l’affermazione secondo la quale “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”. Nel prosieguo, peraltro, enuclea alcuni principi volti ad essere attuati esclusivamente nel processo penale. Tra essi si possono rammentare quelli che prevedono:
- che la persona nei confronti della quale è stata mossa un’accusa di reato venga informata nel più breve tempo possibile in forma riservata in merito alla natura nonché ai motivi dell’accusa stessa;
- che il soggetto stesso disponga di tempo e condizioni necessari e sufficienti al fine di approntare un’adeguata difesa;
- la facoltà concessa all’accusato di interrogare o far interrogare la persona che renda dichiarazioni a suo carico;
- la facoltà di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa a parità di condizioni con l’accusa oltre che l’acquisizione di ogni ulteriore mezzo di prova a suo favore;
- il diritto dell’accusato ad avere l’assistenza di un interprete qualora non parli e non comprenda la lingua italiana, dato che solo essendo messo nella condizione di poter comprendere tutto quello che viene detto nel corso del giudizio può ritenersi che egli sia pienamente partecipe;
- che la formazione della prova avvenga nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, salvo i casi in cui ciò non avvenga, nei casi stabiliti dalla legge, per espresso consenso dell’imputato ovvero per acclarata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di comprovata condotta illecita;
- la garanzia che la colpevolezza dell’imputato non possa essere provata sulla scorta di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volutamente sottratto all’interrogatorio dell’imputato o del difensore di quest’ultimo.
Altri principi tra quelli previsti dall’articolo 111 Cost., invece, hanno rilievo applicativo di carattere generale. Tra essi sono inclusi:
- la nuova, più ampia formulazione del principio del contraddittorio;
- il principio che concerne la terzietà e l’imparzialità del giudice;
- il principio della ragionevole durata del processo;
- l’obbligo di motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali, posto a garanzia della trasparenza della decisione del giudice, consentendo il pieno esercizio elle impugnazioni e agevola il controllo da parte di tutta l’opinione pubblica sulle decisioni giudiziali.
Orbene, con la legge “Pinto” (Legge n. 89 del 24 marzo 2001) il Legislatore italiano ha introdotto la previsione del diritto all’equa riparazione per il mancato rispetto del “termine ragionevole” imposto dalla Costituzione all’articolo 111 per la durata del processo. D’altra parte, detto principio è ricavabile, altresì, dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848, che all’articolo 6 stabilisce anche che ogni persona ha il diritto a che la causa che lo vede coinvolto venga trattata in maniera equa, pubblica ed entro un termine ragionevole.
Più volte, inoltre, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata nei confronti dell’Italia, peraltro condannandola, per il mancato rispetto del diritto alla ragionevole durata del processo. In definitiva lo Stato italiano interviene, quindi, con la legge “Pinto” proprio con precipuo intento di porre rimedio al problema dell’eccessiva durata del processo nonché ad introdurre riforme volte ad accelerare i tempi processuali e a prevedere un ricorso nazionale per l’accertamento della violazione della ragionevole durata del processo, oltre che, infine, dettare i criteri per una quantificazione del relativo dovuto indennizzo.
La ratio della legge di cui si discute è, in sostanza, quella di consentire un deflazionamento del contenzioso dinnanzi alla Corte di Strasburgo. Al fine di dare pratica attuazione degli scopi summenzionati, peraltro, la legge 89/2021 fissa dei limiti specifici di durata considerata “ragionevole” dei processi, superati i quali è consentito al soggetto coinvolto chiedere un risarcimento dei danni. Detti limiti di durata sono delineati all’articolo 2, laddove si precisa che il termine di ragionevole durata del processo (civile, penale, amministrativo, fallimentare e tributario) si considera rispettato se:
- il processo non eccede la durata temporale di tre anni per il primo grado, due anni per il secondo grado, un anno per il terzo grado (o giudizio di legittimità);
- il processo di esecuzione forzata si è concluso nel termine di tre anni e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni;
- il processo sia definito in maniera irrevocabile in un lasso temporale non superiore a sei.
Ovviamente, affinché possa essere riconosciuto il risarcimento dell’indennizzo al richiedente è necessario che si fornisca la prova che sussista un nesso di causalità tra l’eccessiva durata del processo e il danno, patrimoniale e/o non patrimoniale, che si assume essere stato subito. Nel prosieguo vedremo come si calcola l’indennizzo dovuto per il superamento del termine di ragionevole durata del processo ai sensi della legge “Pinto” e chi sia il “soggetto” tenuto a corrispondere il pagamento.
Come si calcola l’indennizzo?
La norma di riferimento in materia di calcolo dell’indennizzo dovuto per il superamento del termine ragionevole di durata del processo è individuabile nell’articolo 2-bis della legge Pinto, il quale, appunto, individua una quantificazione economica minima ed una massima liquidabile dal giudice a titolo di equa riparazione. La formulazione aggiornata ed oggi vigente prevede, in specie, che l’importo dell’indennizzo debba essere compreso tra un minimo di euro 500,00 ed un massimo di euro 1.500,00 per ciascun anno (o frazione di anno superiore a sei mesi) eccedente la ragionevole durata del processo.
Partendo da queste indicazioni di base, l’individuazione esatta del quantum applicabile al caso concreto a titolo di indennizzo è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, il quale nel provvedere sul punto avrà riguardo ad alcuni criteri indicativi, identificati nell’esito del processo, nel comportamento tenuto dalle parti e dai giudici durante il corso del processo, negli interessi coinvolti nel giudizio, nel valore complessivo della controversia.
Chi paga la legge Pinto?
Giunti a questo punto della trattazione resta da porsi un ultimo quesito di rilievo in materia di indennizzo ex legge Pinto e, cioè, comprendere chi sia il soggetto il quale è tenuto al pagamento dell’importo al soggetto che si è accertato, a seguito del ricorso proposto dinnanzi alla Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il giudice che si è pronunciato nel primo grado del giudizio presupposto, essere stato danneggiato dall’eccessiva durata del processo.
Premettiamo che il ricorso per richiedere il pagamento dell’indennizzo deve essere proposto per il tramite di un avvocato, a pena di decadenza entro sei mesi dal momento in cui la decisione conclusiva del processo ha assunto carattere di definitività, nei confronti del Ministero competente in relazione al tipo di procedimento dal quale è conseguito il danno e, in particolare, del Ministero della Giustizia per i procedimenti ordinari (o del Ministero della Difesa per i procedimenti militari e del Ministero dell’Economia e delle Finanze nei casi residui).
La proposizione del ricorso, a decorrere dall’1 gennaio 2022, deve avvenire, peraltro, esclusivamente in modalità telematica. Il ricorso deve contenere l’indicazione del Giudice cui è indirizzato, l’indicazione delle parti nonché la puntuale esposizione dei fatti che si pongono a fondamento della domanda, la precisazione delle conclusioni e deve essere corredato dell’allegazione di prova documentale (copia autentica) degli atti relativi al processo della cui ragionevole durata si assume violata. In esito al procedimento avviato in seguito alla proposizione del ricorso il Giudice adìto, ove ritenga la richiesta fondata, emette un decreto con il quale fissa l’importo dovuto al ricorrente, che dovrà essere notificato al Ministero della Giustizia presso l’Avvocatura dello Stato.
In conclusione, non resta che precisare che il soggetto tenuto al pagamento dell’indennizzo dovuto al ricorrente per i casi di riconosciuto superamento del termine di ragionevole durata del processo è il Ministero della Giustizia.
Fonti normative
Art. 111 Cost. Legge n. 89 del 24 marzo 2001 (nel testo attualmente vigente e come integrato ex decreto del Ministero della Giustizia del 22 dicembre 2021).
Chiara Biscella
Dopo la laurea in giurisprudenza presso l'Università degli studi dell'Insubria e il conseguimento del diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, ho intrapreso, ment ...