Sentenza Cassazione Cannabis: Commento Breve
Negli ultimi anni sono stati molteplici gli interventi giurisprudenziali di rilievo che hanno riguardato la materia delle sostanze stupefacenti, in specie per quanto concerne i profili attinenti alla detenzione e alla coltivazione di cannabis.
Tra gli arresti ermeneutici più recenti in materia si rammenta, tra gli altri, il testo della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, 24 maggio 2021, n. 20389, con il quale gli Ermellini sono nuovamente tornati ad analizzare l’aspetto attinente all’offensività della condotta ascritta a colui il quale, sul balcone della propria abitazione privata, coltivi, a fini di consumo prettamente personale, talune piantine dalle quali estrarre la sostanza stupefacente oggetto di dissertazione.
La Corte di Cassazione si era, in verità, più volte soffermata anche in passato sull’argomento, sino a raggiungere un orientamento piuttosto univoco e consolidato. In particolare, già negli ultimi anni si era già più volte affermato il principio in base al quale affinché la condotta di coltivazione in assenza di autorizzazione di piante dalle quali sia estraibile sostanza stupefacente possa essere considerata offensiva ai sensi della normativa penale occorre aver riguardo alla sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo.
Tanto sostenuto, si è soggiunto che a rilevare non è la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, bensì la riconducibilità della pianta al tipo botanico previsto dalla fattispecie nonché la sua attitudine a giungere a completa maturazione e a produrre la sostanza stupefacente (cfr. tra le altre Cass. Sez. VI, 15 marzo 2013 – 24 maggio 2013, n. 22459).
Tuttavia, la persistenza di taluni isolati orientamenti giurisprudenziali di segno diametralmente opposto ha richiesto, in proposito, l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali si sono pronunciate con sentenza 19 dicembre 2019 – 16 aprile 2020, n. 12348.
Con la suddetta sentenza i giudici della Suprema Corte sono giunti alla statuizione di taluni principi di diritto, che sono da considerare, ad oggi, dei punti fermi in materia:
- si esclude, innanzitutto, l’integrazione del delitto di coltivazione di sostanze stupefacenti per mancanza dell’elemento costitutivo della tipicità in presenza di una condotta di coltivazione che, difettando elementi indicativi di un inserimento del prodotto nel mercato illegale, appaia sintomatica di una destinazione esclusiva all’utilizzo personale (tra i vari elementi da prendere in considerazione per giungere a tale conclusione si ricordano a titolo esemplificativo: la coltivazione praticata in forma domestica, mediante ricorso a tecniche rudimentali e con un numero di piante assai ridotto e tale per cui sia possibile ricavarne un modestissimo quantitativo di prodotto);
- il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti si configura, al contrario, in maniera del tutto indipendente dalla considerazione della quantità di principio stupefacente estraibile nell’immediatezza, dal momento che, come già si è avuto modo di vedere più sopra, è sufficiente, a tal proposito, la conformità della pianta al tipo botanico previsto dalla fattispecie penale nonché la sua idoneità, anche per le modalità della coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente;
- per coltivazione deve intendersi l’attività svolta dall’agente in ogni fase dello sviluppo della pianta, dalla semina fino al raccolto;
- l’irrilevanza penale della coltivazione di minime dimensioni e finalizzata ad uso esclusivamente personale deve ritenersi deducibile dalla sua non riconducibilità alla definizione di coltivazione in termini di attività penalmente rilevante.
Sulla scorta degli assunti delle Sezioni Unite qui rammentati la Cassazione torna sull’argomento con la sentenza del maggio del 2021 affermando e ribadendo convintamente che in punto di verifica dell’offensività in concreto della condotta di coltivazione di sostanze stupefacenti deve essere diversificata in base al grado di maturazione della coltivazione cristallizzato al momento dell’accertamento.
Ove, infatti, in tale momento il ciclo vitale delle piantine si sia completato occorrerà accertare l’esistenza di una quantità di principio attivo tale da produrre effetto drogante. Quanto alle fasi pregresse, al contrario, il dettato normativo impone la punibilità della coltivazione in quanto tale, purché corrispondente al tipo botanico penalmente rilevante e purché avvenga con modalità tali da potersene desumere l’effettivo sviluppo del principio attivo.
Sicché, affinché possa desumersi l’assenza dell’offensività in concreto della condotta dell’agente, è necessario che:
- la modalità di coltivazione sia del tutto inadeguata al fine di realizzare il prodotto finale;
- l’eventuale risultato finale della coltivazione non rientri nel tipo botanico oggetto di incriminazione ovvero il quantitativo prodotto sia di quantità talmente ridotta da escludere in radice che possa avere una qualche efficacia drogante.
Ove, invece, la quantità prodotta sia sufficiente ad estrarre prodotto con efficacia drogante il soggetto che ha coltivato le piantine verrà incriminato come detentore di sostanze per uso personale. Qualora la coltivazione sia penalmente rilevante la detenzione da parte del coltivatore sarà assorbita dalla condotta di coltivazione e la disponibilità materiale della sostanza non sarà altro che post factum non punibile, costituendo il normale esito della condotta di coltivazione.
Conclude, pertanto, la Suprema Corte con la sentenza in commento che ai fini della punibilità della coltivazione domestica il magistrato dovrà aver riguardo ad un’attenta valutazione, da un lato, del grado di maturazione raggiunta dalle piante e dalle modalità della coltivazione e, dall’altro, della verifica dell’utilizzo di strumenti tecnici volti al confezionamento e alla distribuzione dello stupefacente al fine di distinguere le ipotesi che possono essere identificate quali destinate a consumo personale da quelle, al contrario, destinate ad essere messe in circolazione e in commercio.
Sentenze richiamate
- Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, 24 maggio 2021, n. 20389
- Cass. Sez. VI, 15 marzo 2013 – 24 maggio 2013, n. 22459
- Corte di Cassazione, Sezioni Unite penali, 19 dicembre 2019 – 16 aprile 2020, n. 12348