Il reato di sostituzione di persona
L’identità è personale, ma i modi in cui questa può essere assunta da altri sono molteplici. Come viene punita questa condotta?
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- Il reato di sostituzione di persona: caratteristiche e procedimento
- La sostituzione nel mondo virtuale
- Quali informazioni “rubate” possono integrare il reato?
- Casi che non sono considerati sostituzione di persona
- Fonti normative
1. Il reato di sostituzione di persona: caratteristiche e procedimento
L’articolo 494 del codice penale prevede che, chiunque induca altri in errore sostituendo illegittimamente la propria persona ad un’altra al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o causare un danno a terzi, può essere punito con la reclusione fino ad un anno.
In particolare, la norma prevede una moltitudine di condotte che vanno ad integrare la fattispecie:
- sostituzione illegittima della propria persona con altra. In questo caso basta che un soggetto assuma un atteggiamento tale da far apparire sé stesso come altra persona (ad esempio ad un individuo che si presenti ad un esame al posto del vero candidato);
- attribuzione illegittima a sé o altri di falso nome o stato (intesa come la condizione di una persona nello stato civile);
- attribuzione illegittima di una qualità a cui la legge riconosce effetti giuridici.
Spesso questa condizione è parte di reati più gravi come quello di truffa ma, il legislatore, ha previsto la fattispecie specifica della sostituzione di persona anche come autonoma. Questo reato è detto a forma libera, in quanto l’autore può realizzare gli stratagemmi che preferisce per far cadere in errore la vittima e pertanto è un reato che prevede il dolo specifico dell’agente: egli, infatti, realizza la condotta con consapevolezza e con l’intenzione di trarre in inganno la vittima. È dolo specifico in quanto il fine ultimo è quello di trarre un vantaggio, non necessariamente economico, ovvero di arrecare un danno al malcapitato.
Trattandosi di un reato comune, chiunque può compierlo e non è necessario che l’agente raggiunga il suo obiettivo (vantaggio o danno) ma è sufficiente la sostituzione in sé per sé per identificare la fattispecie ed essere punibile. È considerato un reato plurioffensivo, in quanto non si tratta di ledere solo gli interessi privati ma prima di tutto quelli pubblici (appartiene infatti alla categoria di reati contro la fede pubblica).
Questo reato appartiene alla competenza del giudice monocratico e non è pertanto sottoposto ad un collegio. Tuttavia, oltre al procedimento penale, la vittima ha diritto ad intraprendere, in sede civile, un procedimento al fine di ottenere il risarcimento per i danni subiti.
2. La sostituzione nel mondo virtuale
Con l’utilizzo sempre maggiore della tecnologia e di nuovi mezzi di comunicazione ed interazione, sono andati ad aumentare i casi di sostituzione che avviene nei modi più disparati. Si pensi a tutti quei profili fake che possono essere trovati su qualunque social network. Nell’ambito di questi ultimi i comportamenti illeciti che possono coinvolgere gli utenti sono molti. In primis il furto d’identità digitale: questa condotta realizzata nel mondo del web viene equiparata dal legislatore alla sostituzione di persona, fattispecie originariamente pensata per situazioni decisamente differenti.
La Corte di Cassazione si è ripetutamente pronunciata su questo argomento in quanto sempre di più sono i casi. Prima di tutto la Corte ha dovuto definire specificatamente che cosa si intendesse per identità, arrivando a descriverla, nella sentenza 979/1996, come l’insieme di tutte quelle risultanze anagrafiche utili a identificare un soggetto nei suoi rapporti con i poteri pubblici e potendolo così distinguere dagli altri elementi della comunità. Tuttavia, dovendo la normativa adattarsi anche a tutte quelle condotte criminose realizzate tramite il mondo di internet, la Corte ha successivamente dovuto specificare alcuni aspetti relativi all’identità e ciò è anche stato reso possibile grazie ad un rapporto di interazione con la nuova normativa per la tutela dei dati personali. Si è quindi giunti ad un’integrazione effettiva della disciplina, adattata al mondo del web, anche grazie alla sentenza 18826/2013 della Corte di Cassazione riguardante il furto d’identità mediante chat. Attenzione infatti anche ai nickname utilizzati su internet; la Cassazione ha confermato la condanna di una donna che ha utilizzato come nickname su una chat per adulti dei dati riferibili alla sua ex datrice di lavoro, la quale successivamente è anche stata contattata ed insultata.
Il legislatore ha previsto nel 1993 attraverso la legge 547 una normativa relativa ai reati informatici, non prendendo tuttavia in considerazione il furto d’identità il quale, successivamente, si è rivelato un evento particolarmente diffuso. Come detto diverse risposte sono invece giunte dalla giurisprudenza, ad esempio la Cassazione nel 2007 si è espressa in conferma della condanna di un soggetto che aveva creato un indirizzo mail a nome di un terzo ignaro per instaurare rapporti con altri utenti. Secondo la suprema Corte questo atteggiamento andava ad integrare il reato di sostituzione di persona. Si ricordi che esso sussiste laddove non si presentino gli elementi per altri reati contro la fede pubblica più gravi (così come specificato dallo stesso articolo 494 stabilendo una clausola di sussidiarietà, secondo la dottrina maggioritaria).
3. Quali informazioni “rubate” possono integrare il reato?
L’articolo 494 fa riferimento ad alcune informazioni riferibili al soggetto/vittima ma vediamo un po' più nello specifico di cosa si può trattare. Escludendo quelle più facilmente individuabili, quali quindi assumere il nome di un altro o presentarsi personalmente nelle sue vesti, è interessante capire quali altri strumenti utilizzati quotidianamente possano essere abusati.
Ad esempio, l’immagine di un soggetto rientra sicuramente nelle cd. informazioni personali, non per niente l’importanza di tale elemento è anche stato specificato nella normativa di tutela della privacy. Si chiarisce infatti che il titolare del trattamento dei dati personali ha l’obbligo di informare il soggetto del fatto che la sua immagine potrà rientrare tra gli elementi del trattamento stesso. Anche il codice civile tutela il diritto all’immagine all’articolo 10, prevedendo in caso di abuso, la cessazione dello stesso nonché il risarcimento dell’eventuale danno causato.
Tramite il mondo di internet è possibile venire in possesso di tantissime informazioni degli utilizzatori, ad esempio anche dati relativi a conti bancari e carte di credito ed altri dati utili a concludere operazioni e transazioni a nome degli utenti ed a loro danno. In realtà non serve possedere chissà quale informazione personale, basta che i criminali vengano in possesso dei dati di accesso agli indirizzi mail, piuttosto che delle varie password scelte dall’utente sulle diverse piattaforme ad oggi ormai ampliamente diffuse su internet per poter usufruire dei servizi più disparati, da quelli bancari all’acquisto di beni di consumo.
4. Casi che non sono considerati sostituzione di persona
Spesso si è sentito parlare di dipendenti che timbravano al posto di un collega il cartellino, partecipando quindi nel fingerne la presenza, falsa, sul posto di lavoro. Perché questa condotta non è sostituzione di persona? Ripensando agli elementi che integrano il reato, la vittima viene condotta in errore ed effettivamente il datore di lavoro vi cade, pensando che il dipendente sia presente. Tuttavia, il soggetto che timbra per altri non assume la loro identità, bensì si “limita” a rappresentare un fatto inesistente. Queste considerazioni rilevano in seguito alla sentenza 48662 del 2012 della Cassazione, relativamente al caso di dipendenti ospedalieri che timbravano per altri il cartellino relativo all’orario di entrata ed uscita.
Ciò non significa che la condotta non rilevi quale illecito, infatti il dipendente compie sicuramente un illecito disciplinare ma, laddove ne esistano gli estremi, potrebbe essere anche riconosciuto il reato di truffa.
Sara Barbalinardo
Fonti normative
Codice penale: art. 494;
Codice civile: art. 10;
Legge 547/1993: “Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica”;
Sentenze Corte di Cassazione: sentenza 979 del 1996; sentenza 46674 del 2007; sentenza 48662 del 2012; sentenza 18826 del 2013.
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