La violenza domestica: Come fare denuncia
La violenza domestica non riceve autonoma configurazione all’interno del nostro codice penale, ma può essere sussunta all’interno di diverse fattispecie delittuose, a seconda delle caratteristiche assunte dalla condotta.
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La violenza domestica nel codice penale
La c.d. “violenza domestica” costituisce una realtà tristemente diffusa all'interno di molte famiglie italiane, tipicamente commessa a danno di soggetti vulnerabili quali donne e minori.
Secondo la “Teoria della ruota del potere e del controllo”, elaborata negli Stati Uniti da un gruppo di donne vittime di violenza, la violenza domestica consiste in una serie di comportamenti che vanno dalla violenza psicologica ed emotiva alla violenza fisica e sessuale mediante coercizione, minacce, isolamento e l’utilizzo strumentale dei bambini.
Ma cosa si intende precisamente per violenza domestica in ambito giuridico penalistico?
In realtà il codice penale non prevede un reato chiamato “violenza domestica”, ma due distinte fattispecie criminose che possono essere ricomprese in tale concetto: il delitto di lesioni personali di cui all’art. 582 e ss. c.p. e il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi di cui all’art. 572 c.p.
Il reato di lesioni personali è punito con la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni, ma il trattamento sanzionatorio può aumentare sensibilmente in misura proporzionale alla gravità delle lesioni riportate dalla vittima, calcolata sulla base dei giorni di malattia e di incapacità di attendere alle normali occupazioni.
L’art. 583 c.p. prevede infatti due aggravanti delle lesioni personali, distinguendo tra lesioni “gravi” (malattia superiore ai 40 giorni o che metta in pericolo la vita, indebolimento permanente di un senso o organo) e “gravissime” (malattia insanabile, perdita di un senso, arto, organo, parola, capacità di procreare o deformazione/sfregio del viso).
Le lesioni avvenute tra le mura domestiche non sono diverse dal punto di vista penalistico da ogni altro tipo di violenza fisica.
Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi è invece previsto e punito dall’art. 572 c.p. con la pena della reclusione da tre a sette anni e consiste in una serie ripetuta di atti vessatori commessi a danno di familiari o di persone legate da un rapporto di convivenza stabile.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità, ovvero se il fatto è commesso con armi.
Inoltre la pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici. Inoltre, se dal fatto deriva una lesione personale grave (malattia superiore ai 40 giorni o che metta in pericolo la vita, indebolimento permanente di un senso o organo), si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva, invece una lesione gravissima (malattia insanabile, perdita di un senso, arto, organo, parola, capacità di procreare o deformazione/sfregio del viso), la reclusione è da sette a quindici anni; se, in fine, ne deriva la morte, la reclusione è da dodici a ventiquattro anni.
Il concetto di “maltrattamenti” ricomprende atti di violenza sia fisica che psicologica compiuti abitualmente a danno della vittima e che abbiano l’effetto di cagionare a quest’ultima sofferenze e imporle un regime di vita insostenibile.
Pertanto, il reato di maltrattamenti può comprendere al suo interno sia lesioni personali che semplici percosse (ossia violenze fisiche che producono solo dolore nella vittima, senza cagionare una vera e propria lesione diagnosticabile, quali spinte o strattoni).
La principale differenza tra lesioni e maltrattamenti consiste nella frequenza degli atti di violenza: la fattispecie di maltrattamenti si configura infatti solo quando la condotta è abituale e intenzionalmente ripetuta nel tempo.
Le lesioni, a differenza dei maltrattamenti, sono sempre punibili a norma dell'art. 582 c.p.: anche un solo episodio di lesioni commesso da parte di un soggetto che in passato non abbia mai fatto ricorso alla violenza configura pienamente il reato, purché sia fornita prova dei postumi fisici derivanti dalla lesione con referti di pronto soccorso e certificati medici. Le lesioni personali sono infatti un c.d. “reato di mera condotta”: una volta accertato l’atto di violenza non rilevano in alcun modo in favore dell’autore del reato il movente o ogni altra circostanza.
Ciò è estremamente importante da comprendere, in quanto è comune e diffusa l’erronea convinzione che uno schiaffo o un singolo episodio di lesioni a danno di chiccessia o compagna/o non possa esser punibile se compiuto nel contesto familiare, magari come reazione di un litigio o di un’infedeltà: niente di più fuorviante, chi sbaglia anche una sola volta può essere condannato.
Il legislatore ha inoltre previsto un’aggravante comune sia al reato di lesioni che di maltrattamenti strettamente collegata alla realtà della violenza domestica: l’art. 61 n. 11 quinquies c.p. prevede che la pena possa essere aumentata sino ad un terzo se il fatto è commesso in presenza o in danno di un minore di anni 18. In tal modo si tenta di reprimere il fenomeno della c.d. “violenza assistita”, per cui i minori sono spesso gli sfortunati spettatori delle aggressioni commesse da un genitore a danno dell’altro.
Come fare la denuncia delle violenze
La violenza domestica rappresenta un fenomeno difficile da combattere efficacemente anche dal punto di vista legislativo, in quanto spesso la vittima decide di non sporgere denuncia nei confronti del familiare aggressore per paura di danneggiare la famiglia o perché non si sente protetta dal sistema nell’eventualità di rivalse violente.
Occorre precisare che, nel caso in cui la vittima si rechi al Pronto Soccorso subito dopo l’aggressione, qualora il medico o personale sanitario accertino lesioni di natura dolosa superiori ai 20 venti giorni di prognosi, la denuncia all’autorità giudiziaria verrà effettuata automaticamente dalla struttura sanitaria per legge, secondo il meccanismo del “referto” disciplinato dal combinato disposto degli artt. 365 c.p. e 334 c.p.p.
Se invece vengono diagnosticate lesioni con prognosi inferiore a 20 giorni, la punibilità è condizionata alla presentazione della querela da parte della persona offesa entro il termine di 90 giorni dal fatto.
Al fine di incoraggiare le vittime a sporgere denuncia, il legislatore ha previsto l’obbligo per gli agenti delle forze dell’ordine davanti ai quali viene presentata la denuncia/querela di fornire alla persona offesa una serie di informazioni, tra cui la possibilità di rivolgersi alle case famiglia, ai centri antiviolenza e alle case rifugio presenti sul territorio (art. 90 bis c.p.p) e di accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
La possibilità per donne e minori di trovare assistenza e temporanea ospitalità in case famiglia e centri antiviolenza è certamente rilevante, in quanto spesso tornare nella casa familiare dove si trova l’autore delle violenze può essere pericoloso oltre che traumatico sotto il profilo psicologico.
Nel caso in cui le lesioni denunciate siano gravi o gravissime (583 c.p.) o dal racconto della persona offesa emerga un’ipotesi di reato di maltrattamenti, Il Pubblico Ministero, qualora ravvisi un’esigenza cautelare, potrà richiedere al Giudice per le Indagini Preliminari di applicare all’indagato una misura cautelare personale coercitiva quale l’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c.p.p.), il divieto di avvicinamento alla persona offesa (282 ter c.p.p.) o persino arresti domiciliari (284 c.p.p.) e custodia cautelare in carcere (285 c.p.p.).
La presenza di minori nel contesto familiare in cui sono avvenute le violenze denunciate consente inoltre l’intervento automatico del Tribunale per i Minorenni, che potrà disporre provvedimenti d’urgenza a tutela della sicurezza e benessere del minore.
I segnali della violenza domestica
La violenza domestica può essere accertata attraverso il riscontro di segnali tipici, quali lesioni fisiche, anche sessuali, turbe psicologiche. I segnali più evidenti e facilmente accertabili sono quelli fisici: percosse, lesioni, schiaffi, calci, pugni, strattonamenti e spinte, fratture ossee, torsione degli arti, pestaggi ovvero ustioni, ecchimosi.
Il soggetto abusato può anche essere costretto a privazioni di cibo ovvero di sonno, con risvolti in punto di stress, stanchezza eccessiva, irascibilità, confusione, tensione. Altre volte, il soggetto abusante può mettere in atto vere e proprie aggressioni sessuali.
Tali comportamenti possono sfociare in qualsiasi tipo di attività o contatto sessuale che avvenga in assenza del consenso della vittima, come toccare e baciare, anche mediante l’uso della forza o di minacce, somministrazione di alcolici o stupefacenti.
Altra sintomatologia accertabile è quella dell’abuso psicologico, conseguente a qualsiasi comportamento non fisico volto a sminuire, minacciare, umiliare mediante il linguaggio, forme di costrizione e di isolamento, atteggiamenti volti a proibire qualsiasi la comunicazione con il prossimo, di controllo economico finanziario al fine di creare dipendenza dall’aggressore, di impedimento alla vittima di ottenere cure mediche.
Devono, infine, destare allerta cefalea, lamentati dolori pelvici ovvero addominali, forte affaticamento, depressione, disturbi post-traumatici da stress, disturbi alimentari o abuso da sostanze.
Le novità legislative in materia di violenza domestica
La Legge n.69 del 2019 ha rafforzato la tutela delle vittime dei reati di violenza domestica, oltre che di genere, apportando modifiche sia al codice penale che al codice di procedura. E’ stato infatti introdotto quello che si chiama “codice rosso”, teso, tra l’altro, ad accelerare la celebrazione di processi relativi ai delitti di maltrattamenti in famiglia, stalking e violenza sessuale.
Ha, inoltre, previsto l’applicazione più rigorosa della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa ed ai luoghi dalla stessa frequentati, nonché l’inasprimento delle pene previste per i maltrattamenti contro familiari e conviventi, gli atti persecutori, la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo.
Per quanto riguarda: i maltrattamenti in famiglia (art.572 c.p.), le parole “da due a sei anni” sono state sostituite dalle attuali “da tre a sette anni” dall’art.9, comma 2, lett.a) della Legge n.69/2019; gli atti persecutori (art.612bis c.p.), le parole “da sei mesi a cinque anni” sono state così sostituite dalle attuali “da un anno a sei anni e sei mesi” dall’art.9, comma 3, della Legge n.69/2019; la violenza sessuale (art.609bis c.p.), le parole “da cinque a dieci anni” sono state sostituite dalle attuali “da sei a dodici anni” dall’art.13, comma 1, della Legge n.69/2019; la violenza sessuale di gruppo (art.609octies c.p.), le parole “da sei a dodici anni” sono state sostituite dalle attuali “da otto a quattordici anni” dall’art.13, comma 5, lett.a) della Legge n.69/2019.
Fonti normative
- Art. 582 c.p.
- Art. 583 c.p.
- Art. 572 c.p.
- Art. 61 n. 11 quinquies c.p.
- Art. 365 c.p.
- Art. 334 c.p.p.
- Art. 282 bis c.p.p.
- Art. 282 ter c.p.p.
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