Come difendersi (legalmente) da un marito violento
Quando si ha una persona violenta accanto a sé è bene rivolgersi alle autorità competenti e richiedere un ammonimento come misura preventiva, che mira a scoraggiare ogni forma di persecuzione che potrebbe sfociare in delitti ancora più gravi, come ad esempio lo stalking.
- Cosa si intende per marito violento
- Cosa può fare la moglie di un marito violento
- Cosa rischia la moglie denunciante
- Una maggiore tutela: il Codice Rosso
- Fonti normative
1. Cosa si intende per marito violento?
Un marito può commettere violenza fisica (commettendo il reato di maltrattamenti), sessualmente (imponendo rapporti sessuali e commettendo così il reato di violenza sessuale) o psicologicamente (sfruttando a suo vantaggio la vulnerabilità della moglie).
Non vi è distinzione, laddove i destinatari di tali violenze, siano i figli e non il coniuge; purtroppo, spesso i soggetti passivi sono, però, entrambi. Quando il marito pone in essere le condotte appena descritte può astrattamente commettere più reati.
Nella pratica, però, vi può essere l’assorbimento; in altri termini un reato è elemento necessario per commetterne altri. Ad esempio nel reato di maltrattamenti abbiamo ripetute percosse.
Queste ultime teoricamente potrebbero essere punite singolarmente, ma vanno raggruppate se si contesta il reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’articolo 572 del codice penale. «il reato di maltrattamenti in famiglia configura una ipotesi di reato necessariamente abituale costituito da una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo, trattasi di fatti singolarmente lesivi dell'integrità fisica o psichica del soggetto passivo, i quali non sempre, singolarmente considerati, configurano ipotesi di reato, ma valutati nel loro complesso devono integrare, per la configurabilità dei maltrattamenti, una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa» (Corte di Cassazione penale, Sent. n. 5300/2015, conferma Cass. pen., Sez. VI, sent. 24 novembre 2011, n. 24575).
La giurisprudenza di legittimità ha specificato, anche recentemente, che l’abitualità propria del reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p., non viene meno nel caso in cui vi siano momenti di interruzione tra gli episodi violenti e lesivi dell’integrità della vittima. (Cass. penale, 8 maggio 2019, n. 19776) È importante sottolineare che il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni subite dalla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che costituiscono vere e proprie sofferenze morali (Cassazione penale sez. VI, 30/05/2019, n.35677).
Inoltre, si configura il reato anche nelle ipotesi in cui si infliggono alla vittima abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante, che non ricorre qualora le violenze, le offese e le umiliazioni siano reciproche, con un grado di gravità e intensità equivalenti. (Cassazione penale sez. VI, 23/01/2019, n.4935).
2. Cosa può fare la moglie di un marito violento?
La prima cosa che la moglie di un uomo violento può fare è quello di denunciare le condotte alla polizia e carabinieri, allegando alla denuncia prove come foto, segni di percosse, documenti sanitari o dichiarazioni di testimoni.
Dopo aver denunciato, la moglie può allontanarsi dall’abitazione e rifugiarsi da amici o parenti. In molte province italiane vi sono immobili gestiti da associazioni che accolgono le donne (anche con prole) che ha subito comportamenti violenti da parte di mariti, conviventi o fidanzati.
Nel caso in cui la moglie non volesse allontanarsi dall’immobile, può chiedere al giudice (meglio quello penale, ma si può fare anche al giudice civile) un provvedimento d’urgenza, il c.d. ordine di protezione, che disponga l’allontanamento dalla casa familiare e/o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle vittime.
Al fine di richiedere un ordine di protezione, è necessaria la presenza di un unico presupposto: la condotta del coniuge o del convivente deve essere causa di un grave pregiudizio all’integrità psico-fisica o alla libertà della vittima; infatti, non è necessario che la condotta integri una fattispecie di reato. Inoltre, la vittima di violenze familiari può chiedere la separazione.
L’avvocato incaricato dalla donna invia una diffida al marito, al fine di far conoscere a quest’ultimo la volontà della moglie di separarsi. L’uomo può decidere in via consensuale di procedere con la separazione; altrimenti, se contrario, il procedimento va ugualmente avanti.
Durante la fase istruttoria del procedimento, la donna presenta tutte le prove a carico del marito (foto, lividi, video, messaggi intimidatori, etc..), attraverso le quali può dimostrare le violenze patite a causa delle condotte dell’uomo.
È importante sottolineare che la moglie può ottenere l’addebito della separazione (l’imputazione della fine del matrimonio) in capo al coniuge violento, poiché le azioni lesive dell’incolumità fisica perpetrate nei confronti della donna costituiscono una causa determinante l’intollerabilità della convivenza. (Cassazione civile sez. VI, 21/03/2018, n.6997) Ciò può avvenire anche a seguito di un unico, provato, episodio di percosse, in quanto è sufficiente un’unica condotta violenta a ledere l’integrità fisica e psico-fisica della vittima (Cassazione civile sez. VI, 14/01/2016, n.433).
3. Cosa rischia la moglie denunciante?
In caso positivo la donna ottiene il provvedimento che dia sicurezza a lei ed eventualmente alla prole. Purtroppo, non è raro vedere Giudici sospettare che la denuncia della moglie sia strumentale ad un maggior riconoscimento economico in sede di separazione coniugale oppure di voler mascherare l’uso dei figli come “armi” contro il marito.
La conseguenza di ciò è il mancato ottenimento del provvedimento voluto e spesso necessario per la tutela dell’incolumità della donna e/o della di lei prole. Rarissimamente la donna denunziante viene poi rinviata a giudizio per calunnia. Si assiste a volte al rinvio a giudizio, quanto meno disciplinare ma anche penale, dei Pubblici Ministeri e/o Giudici che, a fronte di copiosa attività denunziante, sono stati inermi provocando la morte della donna (Causa Talpis c. Italia – Prima Sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo – sentenza 2 marzo 2017 (ricorso n. 41237/14)).
4. Una maggiore tutela: il Codice Rosso
La legge n. 69/2019, anche conosciuta come "Codice Rosso" è stata pubblicata in G. U. n. 173/2019 ed è entrata in vigore il 9 agosto 2019. Il testo di legge, apportando modifiche al Codice Penale ed al Codice di procedura penale, ha riconosciuto una tutela maggiore a tutte le donne che sono vittime di reati di violenza domestica e di genere.
In particolare, il Codice Rosso ha inasprito le sanzioni previste dal Codice Penale per una serie di reati:
- Per il delitto di maltrattamenti contro conviventi o familiari, ex art. 572 c.p., la sanzione precedente, ossia la reclusione compresa tra i due e i sei anni, è stata aumentata sino ad un minimo di tre ed un massimo di sette anni;
- Per il delitto di violenza sessuale è prevista una pena compresa tra i sei e i dodici anni; mentre, in precedenza il Codice Penale prevedeva un minimo di cinque ed un massimo di dieci anni;
- Per il delitto di violenza sessuale di gruppo è prevista la pena minima di otto anni e la pena massima di quattordici anni; mentre, precedentemente vi era un minimo di sei ed un massimo di dodici anni;
- Per il delitto di atti persecutori, il c.d. stalking, la pena precedente, un minimo di sei mesi ed un massimo di cinque anni, è stata innalzata ad un minimo di un anno ed un massimo di sei anni e sei mesi.
Inoltre, in ambito procedurale, la l. 69/2019 ha previsto una maggiore celerità del procedimento penale per i reati come i maltrattamenti, stalking o violenza sessuale. Infatti, nei casi di violenza domestica o di genere:
- la polizia giudiziaria, dopo aver acquisito la notizia di reato, riferisce, anche in forma orale, al pubblico ministero;
- il pubblico ministero, entro tre giorni (prorogabili solo in caso di necessità per la tutela di minori o della riservatezza delle indagini) dall’iscrizione della notizia di reato, deve acquisire informazioni dalla vittima o dal soggetto che ha denunciato il reato.;
- gli atti d’indagine, che il P.M. delega alla polizia giudiziaria, devono essere svolti senza ritardo.
Il Codice Rosso, al fine di tutelare la vittima che subisce atti di violenza domestica o di genere, prevede la misura cautelare del divieto di avvicinamento dell’aggressore nei luoghi frequentati dalla persona offesa, nonché la possibilità per il giudice di poter assicurare il rispetto della misura coercitiva tramite l’utilizzo di strumenti elettronici, quale il braccialetto elettronico.
5. Fonti normative
- Codice Penale: art. 572;
- Corte di Cassazione penale, Sent. n. 5300/2015, conferma Cass. pen., Sez. VI, sent. 24 novembre 2011, n. 24575;
- Legge 19 luglio 2019, n. 69, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 173/2019 ed entrata in vigore il 9 agosto 2019 (il Codice Rosso);
- Cassazione penale sez. VI, 23/01/2019, n.4935;
- Cassazione civile sez. VI, 14/01/2016, n.433;
- Cassazione civile sez. VI, 21/03/2018, n.6997;
- Cass. penale, 8 maggio 2019, n. 19776;
- Cassazione penale sez. VI, 30/05/2019, n.35677;
- Causa Talpis c. Italia – Prima Sezione della Corte Europea dei diritti dell’uomo – sentenza 2 marzo 2017 (ricorso n. 41237/14)).
Doriana Sorrentino
Laureata in Giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma. Master II Livello in Diritto e Processo Tributario. Avvocato e responsabile area Compliance. Partecipazione a numerosi corsi di alta formazione in ambito giuridico. ...