Il ricorso al Giudice di Pace in materia penale
Quali sono i casi di competenza del Giudice di Pace in materia penale, scopriamoli insieme.
La novità più importante tra quelle introdotte in materia è la possibilità, per alcuni delitti perseguibili a querela, che la citazione a giudizio del (presunto) reo sia proposta direttamente dalla persona offesa, con un apposito ricorso al Giudice di Pace.
L’importanza della Pubblica Accusa e del Giudice non è stata affatto intaccata da questa novità legislativa: la decisione della magistratura infatti resta essenziale ai fini del proseguimento del giudizio penale.
Il Ricorso, nella sostanza, produce gli stessi effetti della querela ma, a differenza di quest’ultima, costituisce già un atto processuale. In questo senso, la sua proposizione è utile alla persona offesa per dare un più rapido impulso al processo.
1. Natura del Ricorso
Ai sensi degli articoli 5 e 22 del Dlgs n. 274/2000, il Ricorso deve essere presentato nella Cancelleria del Giudice territorialmente competente a conoscere del reato.
Prima di depositare il Ricorso, occorre darne preventiva comunicazione al Pubblico Ministero (come prescritto dall’art. 153 del Codice di Procedura Penale). Il termine per la sua proposizione è il medesimo previsto per la presentazione di una querela: tre mesi dalla data in cui si è venuti a conoscenza del fatto di reato.
È prevista la possibilità d’introdurre altresì l’azione civile risarcitoria davanti al Giudice di Pace, ma solo laddove questa venga proposta contestualmente al Ricorso. Diversamente, la parte decade dalla facoltà di proporla e può quindi rifarsi solo in sede civilistica.
Questa previsione normativa chiarisce le finalità realmente sottese alla norma: l’intenzione di tutelare la dimensione risarcitoria dell’ingiustizia subìta dalla vittima.
Il Ricorso penale al Giudice di Pace deve essere interpretato, quindi, come una peculiare alternativa alla querela, finalizzata soprattutto alla tutela penale dell’individuo con riferimento particolare alla dimensione privatistica dell’offesa.
2. La citazione del presunto colpevole
Per la redazione del Ricorso, le norme sono abbastanza fiscali, prevedono forme e tecnicismi che rendono la stesura dell’atto non agevole. Questa caratteristica è dettata dalla necessità di proteggere la posizione della persona citata a giudizio, che deve essere posta nelle condizioni di esercitare a pieno la propria difesa. L’atto deve, a pena d’inammissibilità, contenere:
- L’indicazione delle parti (anche di quelle eventuali come, ad esempio, altre persone che si ritengono offese dal reato);
- La puntuale definizione dell’oggetto della domanda;
- La descrizione del fatto e l’indicazione delle prove (anche documentali) che si portano a supporto della propria tesi;
- La specificazione delle circostanze su cui dovranno essere interrogati eventuali testimoni e/o consulenti tecnici.
È necessaria altresì l’apposizione della sottoscrizione della persona offesa e del legale che la rappresenta.
Entro 10 giorni dalla data di presentazione del Ricorso, il Pubblico Ministero (PM) deve comunicare l’esito delle verifiche effettuate sul contenuto dell’atto. Egli deve limitarsi a controlli puramente tecnici e formali, non può ridisegnare o integrare l’oggetto del giudizio, che deve restare circoscritto a quanto dedotto dalla persona offesa.
All’esito di queste verifiche il PM può formulare il capo d’imputazione per l’indagato o, se ritiene, dichiarare l’inammissibilità o manifesta infondatezza del Ricorso.
Nel caso in cui il Giudizio debba proseguire, il Giudice emette un decreto con cui invita le parti a comparire nell’udienza di discussione e il processo prosegue secondo le norme di rito.
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