Arresti domiciliari (Art. 284): tutto quello che devi sapere
Gli arresti domiciliari rientrano tra le misure cautelari previste dal nostro ordinamento giuridico.
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- Gli arresti domiciliari
- “Indispensabili esigenze di vita” che giustificano l’allontanamento
- “Situazione di assoluta indigenza” ed allontanamento per motivi di lavoro
- Gli arresti domiciliari non sempre sono consentiti
- Gli arresti domiciliari delle categorie “deboli”
- I soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria ovvero da altra malattia particolarmente grave
- I controlli durante gli arresti domiciliari
- Fonti normative
Gli arresti domiciliari rientrano tra le misure cautelari previste dal nostro ordinamento giuridico.
Si tratta di una misura coercitiva capace di incidere sulla libertà personale del soggetto che vi è sottoposto infatti, nella ideale scala di afflittività degli strumenti a tal scopo previsti, si colloca nel livello direttamente inferiore alla restrizione in carcere.
Le misure cautelari si applicano prima che sia intervenuta la condanna definitiva allorché sussista una delle esigenze cautelari tassativamente previste dal dettato dell’art. 274 cod. proc. pen. − ossia il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e/o di reiterazione del reato o di commissione di nuovi reati da parte della persona indiziata – unitamente ai gravi indizi di colpevolezza a carico del destinatario della misura.
Le misure cautelari devono essere applicate seguendo i criteri indicati dall’art. 275 cod. proc. pen. rubricato appunto “criteri di scelta delle misure”. Tali criteri sono: il criterio dell’adeguatezza, quello della proporzionalità e quello della gradualità. La ratio del criterio di proporzionalità è quella di evitare che misure oltremodo afflittive vengano applicate all’indiziato di fatti non gravi o ai destinatari di sanzioni contenute: è chiaro come il legislatore abbia voluto contemperare l’interesse dell’accertamento della responsabilità penale con quello della libertà personale, evitando un eccessivo sacrificio di quest’ultima laddove la fattispecie concreta non lo richieda.
Nello specifico, il comma 2-bis dell’art. 275 cod. proc. pen. impone al giudice di valutare non solo la situazione esistente al momento della richiesta di custodia cautelare, ma anche la pena che verosimilmente sarà irrogata al termine del processo, escludendo in via generale che la previsione di una condanna a pena sospendibile condizionalmente sia compatibile con la custodia cautelare in carcere e con gli arresti domiciliari, così restringendo il potere discrezionale del giudice.
Quanto al criterio dell’adeguatezza, questo è posto al fine di salvaguardare la sicurezza collettiva. Il criterio della gradualità emerge con riferimento alla collocazione sistematica delle misure cautelari, che si suddividono in misure coercitive e misure interdittive, ordinate dal codice in termini di progressiva afflittività. Gli arresti domiciliari, nati come istituto destinato ad evitare la custodia in carcere di categorie di imputati (appartenenti alle forze dell’ordine considerata l’extrema ratio, sono divenuti una misura cautelare con portata tendenzialmente generale, soggetta ai limiti sopra indicati (cfr. art. 275-bis, comma II, cod. proc. pen.).
Il giudice può autorizzare l’allontanamento solo al fine di consentire alla persona ristretta agli arresti domiciliari di soddisfare indispensabili esigenze di vita o laddove versi in condizioni di assoluta indigenza che comportino l’obbligo di svolgere attività lavorativa al fine di provvedere al proprio sostentamento. Quando lo ritiene necessario il giudice può imporre limiti o divieti alla facoltà dell’imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono laddove siano idonee ad assicurare l’esigenza cautelare che ha imposto l’adozione della misura, fermo restando che nel disporre il luogo degli arresti domiciliari il giudice deve assicurare “le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato” (cfr. art. 284, comma 1-bis, cod. proc. pen.).
1. Gli arresti domiciliari
La misura degli arresti domiciliari consiste nell’obbligo imposto all’imputato (ovvero a persona sottoposta alle indagini) di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero dal luogo di pubblica cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una casa famiglia protetta.
Tale misura istituisce sostanzialmente un “regime di autocustodia” connaturato ad un maggior grado di affidabilità del soggetto al quale viene comminata rispetto a coloro che sono destinatari della misura della custodia cautelare in carcere.
Quanto a quest’ultima preme evidenziare che gli arresti domiciliari sono ad essa equiparati tanto per ciò che concerne i termini ( ad es. la durata degli arresti domiciliari si detrae dalla pena da espiare), tanto per ciò quanto riguarda le conseguenze di una sottrazione alla misura: sottrarsi agli arresti domiciliari è punito alla stregua di un’evasione e apre la strada alla custodia cautelare in carcere, nei limiti di cui all’art. 276, comma 1-ter, cod. proc. pen.
2. “Indispensabili esigenze di vita” che giustificano l’allontanamento
Il terzo comma dell’art. 284 cod. pen. stabilisce che “Se l'imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa”.
La nozione di “indispensabili esigenze di vita” utilizzata dal codice per giustificare l’allontanamento dell’imputato deve essere intesa non in senso meramente materiale od economico, bensì tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona individuati dall’art. 2 della Costituzione".
Tale interpretazione estensiva è stata a più riprese avallata dai giudici della Suprema Corte di Cassazione, secondo i quali il riferimento alle indispensabili esigenze di vita può includere il soddisfacimento di bisogni di natura religiosa, il mantenimento delle relazioni familiari e sociali, l'espletamento delle funzioni genitoriali e, coerentemente con il dettato costituzionale inteso alla valorizzazione dei diritti fondamentali dell'individuo, l'autorizzazione all'allontanamento può essere disposta non solo per assicurare la sopravvivenza fisica della persona, ma anche per soddisfare bisogni di ordine spirituale come il trascorrere del tempo al di fuori delle mura domestiche con il figlio minore.
3. “Situazione di assoluta indigenza” ed allontanamento per motivi di lavoro
L’imputato sottoposto agli arresti domiciliari può essere autorizzato ad assentarsi per svolgere un’attività lavorativa solo nel caso in cui versi in una condizione di assoluta indigenza valutata secondo criteri di particolare rigore che non possono, però, spingersi sino a pretendere una sorta di prova legale della condizione di impossidenza del nucleo familiare dell'indagato, è tuttavia legittimo che l’autorizzazione sia rifiutata in assenza di qualsiasi documentazione che dimostri lo stato economico prospettato.
Quanto all’esercizio dell’attività lavorativa, laddove sussista la condizione sopra indicata, occorre precisare che la concessione di tale autorizzazione non si configura come un diritto del soggetto destinatario della misura e, dunque, non sono consentite attività lavorative che per loro natura sono volte a snaturare la qualità dell’istituto degli arresti domiciliari, incidendo il modo apprezzabile sul regime cautelare in quanto, ad esempio, comportano continui spostamenti difficilmente controllabili.
4. Gli arresti domiciliari non sempre sono consentiti
Il legislatore ha inteso limitare la discrezionalità del giudice in ordine alla scelta della misura cautelare da comminare fornendo allo stesso, oltre al tassativo elenco delle misure de quibus, contenuto nell’art. 274 cod. proc. pen., ulteriori restrizioni.
In primis il comma 5-bis dell’art. 284 cod. proc. pen. esclude la possibilità di applicare la misura cautelare degli arresti domiciliari nel caso in cui l’imputato, nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede, sia stato condannato per il reato di evasione, purché la sentenza con la quale abbia riportato tale condanna sia passata in giudicato.
Tuttavia, laddove sulla base di specifici elementi il giudice ritenga che il fatto sia di lieve entità e che le esigenze cautelari possano essere comunque soddisfatte mediante l’applicazione della misura cautelare de qua questo può applicarla anche nel caso in cui il soggetto sia stato condannato per il reato di evasione con sentenza passata in giudicato.
Infine un ulteriore divieto di applicazione di tale misura è previsto dall’art.275 cod. proc. Pen. nel caso in il giudice ritenga che con la sentenza possa essere concessa la sospensione condizionale della pena.
5. Gli arresti domiciliari delle categorie “deboli”
Nell’ambito della vicenda cautelare è riservata una particolare attenzione a talune categorie, indicate tassativamente nel dettato dell’art. 275 cod. proc. pen., considerate soggettivamente “deboli”, in quanto il loro status è ritenuto incompatibile con la detenzione carceraria.
In capo a tali individui si presume sussistente una minore pericolosità e ciò permette di formulare in astratto un giudizio di inadeguatezza della misura custodiale, che può essere vinto dalla prova della sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
La norma caposaldo è costituita dal comma IV dell’art. 275 cod. proc. pen. che vieta l’utilizzo della misura della custodia carceraria, a meno che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando gli imputati (ovvero le persone sottoposte alle indagini) siano donna incinta ovvero madre di prole di età non superiore ai sei anni con lei convivente ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ovvero persona che ha passato i 70 anni.
La ratio dell’individuazione di tale categoria è quella di proteggere la genitorialità, escludendo, ove possibile, dal circuito carcerario i minori e di tutelare chi è ormai in avanzato stato di età, considerando tale elemento come sintomatico di una diminuita pericolosità sociale. Tale disciplina è destinata a mediare costantemente tra la tutela della collettività da un lato e, dall’altro, il riconoscimento di interessi e di valori che riguardano l’imputato (ovvero la persona sottoposta alle indagini) e, nel novero delle misure cautelari fruibili, occupa un ruolo centrale la figura degli arresti domiciliari che consente una maggiore duttilità applicativa, idonea a raggiungere un equilibrio tra le su menzionate istanze contrapposte.
6. I soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria ovvero da altra malattia particolarmente grave
Il comma 4-bis dell’art. 275 cod. proc. pen. garantisce la tutela del diritto alla salute prevedendo che non possa essere disposta né mantenuta la custodia carceraria nei confronti di chi sia affetto da da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria ovvero da altra malattia particolarmente grave, accertate ai sensi dell’art. 286-bis cod. proc. pen.
Al pari di quanto previsto dal comma 4 del medesimo articolo la presunzione di inadeguatezza della misura carceraria non è assoluta e può essere superata allorquando sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, con la conseguenza che l’interessato potrà essere ristretto in centri clinici dell’Amministrazione penitenziaria.
Anche in questo caso la misura degli arresti domiciliari costituisce lo strumento più idoneo a bilanciare le differenti necessità emergenti dalla fattispecie sopra esposta; tale opzione non è suscettibile di diverso apprezzamento da parte del giudice.
7. I controlli durante gli arresti domiciliari
È consentito, in ogni momento, al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria di controllare, anche di propria iniziativa, che l'imputato osservi le prescrizioni che gli sono state imposte.
Il giudice, quando dispone tale misura cautelare, è tenuto a prescrivere le misure di controllo con mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, salvo il caso in cui la natura e il grado delle esigenze cautelari da soddisfare le facciano sembrare superflue.
All’imputato viene concesso di negare l’applicazione dei mezzi e degli strumenti di controllo. In tal caso egli è tenuto a fornire espressa dichiarazione da rendere all’ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la misura. Mentre, laddove decida di accettare, è tenuto ad agevolare le procedure di installazione.
Redatto da: Fatima Santina Kochtab
Aggiornato da: Eleonora Ardito
Fonti normative
Art.284 cod. proc. Pen.
Art.275 cod. proc. Pen.
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