Mantenimento della prole - assegni per figli minorenni e maggiorenni non autosufficienti
Approfondisci il diritto al mantenimento della prole in Italia: scopri la normativa, le modalità di assegnazione e le revisioni degli assegni per figli minorenni e maggiorenni non autosufficienti.
Il mantenimento della prole è un aspetto fondamentale del diritto di famiglia, il quale è volto a garantire il benessere e la crescita dei figli durante la loro vita, ivi comprese le ipotesi di separazione o divorzio dei genitori. Tanto la Costituzione italiana quanto il codice civile del 1945 sanciscono l'obbligo di mantenimento in favore dei figli. Si ricordano, in particolar modo:
- l’art. 315 bis, comma 1, c.c. dispone che il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito, assistito moralmente;
- l’art. 30 Cost. che garantisce ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale;
- l’art. 317 bis comma 1, c.c. il quale disciplina che i genitori debbano adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità lavorativa (nel caso di insufficienza dei mezzi genitoriali sono gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, che debbono provvedere a fornire ai genitori stessi le possibilità necessarie al fine di adempiere i loro doveri nei confronti dei figli).
L’obbligo di mantenimento sussiste per entrambi i genitori a prescindere dalla tipologia di rapporto intercorrente tra la coppia, ovvero sussiste sia nel caso di figli nati da matrimonio sia da convivenza (equiparati a seguito della riforma della legge 219/2012, la quale ha disposto che tutti i figli godano degli stessi diritti ed abbiano il medesimo status giuridico). Esso è inderogabile e prioritario per i figli minorenni, mentre sussiste nei confronti del figlio maggiorenne se ancora non è autosufficiente economicamente. Inoltre, permane in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza.
In concreto è possibile distinguere due diverse modalità di mantenimento, diretto e indiretto, fornite sotto forma di assegno mensile: nel primo caso ciascun genitore provvede direttamente alle spese ordinarie del figlio quando questi si trova presso di lui; nella seconda ipotesi, invece, è previsto il versamento da parte di un genitore nei confronti dell’altro di un assegno periodico, il cui valore è stabilito dal giudice o concordato dalle parti, allo scopo di contribuire alle spese straordinarie e ordinarie del figlio. Tre le spese ordinarie rientrano beni primari, come abbigliamento, acquisti per la scuola e così via; viceversa, le spese straordinarie, come quelle mediche, scolastiche o sportive, sono generalmente divise al 50% tra i genitori, salvo diversi accordi.
L’assegno di mantenimento per i figli o, più correttamente, il contributo al mantenimento presenta delle caratteristiche che possono sintetizzarsi in: indisponibilità, ovvero non è possibile rinunciarvi; impignorabilità, ossia l’importo del mantenimento non può essere pignorato dai creditori; non è compensabile; irripetibilità, vale a dire ciò che è stato corrisposto non può essere chiesto indietro.
In ogni modo, nel rispetto dell’art. 30 della Costituzione, è necessario che i genitori collaborino e comunichino tra loro per garantire il benessere del figlio. Per di più, qualora si verifichi un inadempimento, chiunque vi ha interesse può chiedere al tribunale di disporre che una quota proporzionata dei redditi dell'obbligato sia versata direttamente all'altro coniuge o a chi affronta le spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione dei figli. Nell’ipotesi in cui i genitori non abbiano gli strumenti idonei a garantire il sostentamento dei figli, saranno gli ascendenti (nonni) a dover versare ai genitori un assegno di mantenimento per i figli.
Mantenimento del figlio maggiorenne non autosufficiente
In materia di mantenimento dei figli maggiorenni, l’art. 337 septies del codice civile dispone che il giudice, valutate le circostanze, possa stabilire in favore dei figli maggiorenni non economicamente indipendenti il pagamento di un assegno periodico, il quale, salvo diversa decisione giudiziale, deve essere versato direttamente all’avente diritto. Tale disposizione normativa è coerente con il principio secondo cui il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio non determina automaticamente la cessazione dell’obbligo di mantenimento in capo ai genitori. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente chiarito che il diritto al mantenimento permane anche oltre il compimento del diciottesimo anno di età, purché il figlio versi in una condizione di non autosufficienza economica e persegua un progetto formativo e professionale compatibile con le sue capacità, aspirazioni e, soprattutto, con le condizioni economiche della famiglia di origine.
La Suprema Corte di cassazione ha più volte ribadito che l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente trova il suo fondamento nel combinato disposto degli artt. 337-ter e 337-septies c.c., escludendo l’applicabilità dell’art. 443 c.c. in tema di obbligazioni alimentari, che rispondono a presupposti e finalità differenti. È stato altresì precisato che la decisione del genitore obbligato di accogliere il figlio in casa non costituisce una modalità alternativa di adempimento dell’obbligo di mantenimento, che non può essere scelta unilateralmente, ma rappresenta semmai un elemento da considerare nella valutazione complessiva delle circostanze di fatto, ai sensi dell’art. 337-ter, comma 4, c.c., al fine della quantificazione dell’assegno. (Cass. Civ., Sez. I, Ord. 10 febbraio 2025, n. 3329)
La funzione educativa dell’obbligo di mantenimento implica una valutazione articolata e puntuale della situazione del figlio: la Corte di cassazione, con sentenza n. 5088 del 2018, ha evidenziato come tale obbligo debba essere circoscritto nei limiti di durata e contenuto coerenti con l’effettivo perseguimento di un progetto formativo e l’inserimento nella società.
Il principio cardine cui si ispira la giurisprudenza è quello di autoresponsabilità, in virtù del quale l’obbligo dei genitori di mantenere i figli non può considerarsi illimitato né incondizionato. Tale obbligo, infatti, cessa qualora il figlio abbia acquisito un’autonoma capacità di provvedere a sé stesso, intesa come la possibilità di soddisfare i propri bisogni attraverso un lavoro stabile e retribuito, anche se non necessariamente rispondente alle massime aspirazioni personali (Cass. civ., 8 agosto 2013, n. 18974). Non è sufficiente, tuttavia, che il figlio intraprenda una qualsiasi attività lavorativa: è necessario accertare se tale attività sia continuativa, coerente con il percorso di studi e idonea a garantire un’adeguata autosufficienza economica. Il mantenimento, inoltre, può venir meno anche in assenza di un’effettiva indipendenza, qualora lo stato di non occupazione sia imputabile a un comportamento colpevole del figlio, come un atteggiamento di inerzia nella ricerca di lavoro, un rifiuto immotivato di occasioni lavorative adeguate o una condotta negligente nello svolgimento degli studi.
A tal riguardo, si segnala l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione secondo cui il genitore può chiedere in ogni momento la revoca o la modifica dell’assegno di mantenimento, dimostrando l’avvenuto raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio o, in alternativa, la sussistenza di una condizione di non autosufficienza colpevole. Spetta, in tal caso, al genitore l’onere di provare, anche in via presuntiva, l’esistenza di circostanze che denotino la cessazione del diritto al mantenimento, quali ad esempio la conclusione del percorso di studi in età avanzata, il disinteresse nel cercare lavoro o la rinuncia ingiustificata ad opportunità professionali (Cass. 12952/2016). L’età del figlio assume, in tale contesto, una rilevanza specifica, in quanto, con l’avanzare degli anni, diventa sempre più oneroso per il genitore fornire un sostegno economico continuativo, specialmente in presenza di condizioni personali di anzianità o pensionamento. In questo senso, la giurisprudenza ha richiamato la necessità di evitare forme di dipendenza ingiustificata che si traducono in fenomeni di “una forma di parassitismo ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani” (Cass. Civ., sez. I, 22/06/2016, n.12952).
La sentenza della Cassazione n. 17183 del 14 agosto 2020 ha segnato un ulteriore punto fermo in materia, affermando che l’obbligo di mantenimento viene meno al raggiungimento da parte del figlio della capacità di mantenersi autonomamente, capacità che deve presumersi una volta superati i trent’anni di età, salvo prova contraria. La Corte ha posto l’accento sulla necessità di considerare una pluralità di fattori, primaria è senza dubbio l’autosufficienza ed elementi tra cui la durata del percorso universitario, la coerenza tra gli studi intrapresi e le possibilità economiche dei genitori, nonché il tempo mediamente richiesto per trovare un’occupazione adeguata. Tale valutazione, secondo i giudici di legittimità, deve essere tanto più rigorosa quanto maggiore è l’età del figlio, per evitare che l’obbligo si protragga per un periodo di tempo irragionevolmente lungo.
Secondo una pronuncia del Tribunale di Milano (Ord. 29 marzo 2016), si è ritenuto che, superata la soglia dei trentaquattro anni, non possa più sussistere il diritto al mantenimento, potendosi eventualmente configurare soltanto il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., riconosciuto in presenza di uno stato di bisogno e dell’impossibilità di provvedere al proprio sostentamento. Tale orientamento è «in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee, oltre la soglia dei 34 anni, lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non può più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all’adulto».
Alla luce di quanto esposto, si può concludere che il diritto del figlio maggiorenne a ricevere un assegno di mantenimento da parte dei genitori sussiste unicamente in presenza di specifici presupposti, quali l’esistenza di condizioni personali di fragilità (handicap, disabilità), un percorso formativo ancora in corso svolto con diligenza e nei tempi ordinari, un’attiva e infruttuosa ricerca di occupazione non imputabile a inerzia personale, ovvero l’immediata attivazione post-studi per trovare un impiego. In assenza di tali elementi, il genitore obbligato può legittimamente chiedere la cessazione dell’assegno, avendo cura di documentare la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto idonei a giustificare la fine del proprio obbligo assistenziale.
Modifiche all’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne
Il diritto al mantenimento della prole a carico dei genitori può subire dei mutamenti nelle ipotesi di cambiamenti significativi nelle condizioni economiche dei genitori o nelle esigenze del figlio. Difatti, l'obbligo di mantenimento non ha durata indeterminata, bensì cessa al raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio o quando i genitori si accordano diversamente.
In primo luogo, il genitore, onerato dell’obbligo di mantenimento, ha la possibilità di proporre una domanda di revoca dell’assegno verso il figlio in qualunque momento, previa dimostrazione del raggiungimento, da parte di quest’ultimo, di un reddito atto a garantirgli l’autosufficienza. È necessario specificare, però, che non è sufficiente dimostrare che il figlio svolga un’attività lavorativa al fine di escludere il mantenimento, bensì è necessario che il lavoro sia stabile affinché si verifichi il venir meno del diritto al mantenimento.
Stessa possibilità di revoca dell’assegno di mantenimento si ha nel caso di assenza di autosufficienza economica del figlio maggiorenne di carattere colposo, cioè qualora il mancato svolgimento di un’attività produttiva di reddito dipenda dall’inerzia del figlio o da un suo rifiuto ingiustificato. In questo caso, il genitore gravato del mantenimento, previa dimostrazione del comportamento inerte della prole sia a livello lavorativo sia nel caso di percorso di studi non concluso, può formulare richiesta e ottenere la declaratoria di cessazione del suddetto obbligo. In poche parole, l’onere della prova, quindi, grava sul genitore che non intenda più avere tale obbligazione a proprio carico.
Aspetto, inoltre, rilevante è l’età della persona; si pensi, ad esempio, all’età in cui si è concluso il percorso di studi universitario, la quale fa sorgere la presunzione che il soggetto sia maturo abbastanza da essere indipendente economicamente e questa eventuale mancanza sia dovuta da una sua inerzia colpevole (ad esclusione di ipotesi in cui non vi siano particolari motivi che dimostrino che non vi sia una ragionevole colpa del figlio). A tal proposito la Corte di Cassazione specifica che «l’avanzare dell’età è un elemento che necessariamente concorre a conformare l’onus probandi» (Cass. 5088/2018).
In ogni caso, qualora il figlio perda il mantenimento e sussistano i presupposti egli ha sempre la possibilità di richiedere un assegno alimentare ai sensi dell’art. 433 c.c.
Ulteriore modifica che può aversi nel caso dell’assegno di mantenimento è la revisione dello stesso per un figlio maggiorenne. Essa è possibile nel caso di mutamento significativo delle condizioni economiche di uno dei genitori: ad esempio, nell’ipotesi di perdita del lavoro, o, secondo la Corte di Cassazione, può esservi revisione in caso di nascita di una nuova famiglia da parte del genitore obbligato. Ulteriori ipotesi di revisione sono quelle che si verificano nel caso di raggiungimento dell’indipendenza economica del figlio o nel caso di variazione delle esigenze del figlio, ad esempio in relazione a studi, salute o altre necessità.
Al fine di ottenere la revisione dell'assegno è necessario presentare un'istanza al giudice, fornendo prove del mutamento delle condizioni che giustificano la revisione; dopodiché il giudice valuterà le circostanze specifiche del caso, tenendo conto dei redditi dei genitori, delle esigenze del figlio e di altri fattori rilevanti.
Volendo riassumere, quindi, la modifica dell’assegno di mantenimento può avere due sfaccettature: revisione o revoca. La prima comporta una modifica dell'importo dell'assegno, che può essere aumentato o diminuito, a seconda delle mutate condizioni economiche delle parti e si verifica quando cambiano le circostanze che avevano portato alla determinazione dell'assegno, ad esempio un aumento o una diminuzione del reddito di uno dei coniugi, la nascita di altri figli, o gravi problemi di salute. Nel caso della revoca, invece, si verifica la cessazione totale dell'obbligo di versare l'assegno quando vengono meno i presupposti che avevano giustificato la sua concessione, ad esempio quando il beneficiario raggiunge l'indipendenza economica, si risposa o inizia una convivenza stabile. Dunque, la revisione modifica l'importo; la revoca elimina l'obbligo, ma entrambe le azioni richiedono l'intervento di un giudice, il quale valuterà le nuove circostanze sulla base delle quali stabilirà se modificare o revocare l'assegno.
Avv. Alessia Gentile
Dott.ssa Chiara Nervoso

Alessia Gentile
Nel corso della mia formazione professionale ho maturato esperienza nel diritto civile, diritto del lavoro e diritto di famiglia, specificamente in materia di proprietà e diritti reali, contrattualistica, locazione, procedure esecutive ...