Coppie gay e adozione: cosa dice la legge?
Le coppie omosessuali possono adottare? Scopri cosa dice la legge sulle adozioni.
- Adozioni e matrimoni gay, cosa dice la legge
- L’adozione da parte di coppie dello stesso sesso
- Novità degli ultimi anni
1. Adozioni e matrimoni gay, cosa dice la legge
La legge Cirinnà del 2016 ha regolamentato per la prima volta in Italia le unioni civili tra persone dello stesso sesso, riconoscendo diritti e doveri simili a quelli ottenuti con il matrimonio.
La legge prevede che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire un’unione civile mediante dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. Per costituire validamente l’unione civile occorre che le
parti:
• non siano già coniugati o uniti civilmente con altre persone;
• siano perfettamente capaci di intendere e volere;
• non siano parenti o affini tra di loro;
• non siano stati condannati per omicidio (tentato e consumato).
L’ufficiale di stato civile provvederà poi alla registrazione dell’atto nell’archivio dello stato civile.
Va osservato che l’unione civile:
• può riguardare solo persone dello stesso sesso;
• non riconosce espressamente l’obbligo di fedeltà né quello di collaborazione;
• le parti, con dichiarazione all’ufficiale di stato civile, possono indicare un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi, e i partner potranno anteporre o posporre al cognome comune il loro cognome, se diverso;
• lo scioglimento dell’unione civile ha effetto immediato e non è previsto nessun periodo di separazione.
Inoltre, la legge sulle unioni civili non contempla la c.d. stepchild adoption, ossia la facoltà di adottare il figlio del partner. Attualmente, tale possibilità è espressamente riservata ai coniugi eterosessuali dall’art. 44 lett. b) della L. 184/1983 che indica come il minore possa essere adottato dal coniuge nel caso in cui sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge.
2. L’adozione da parte di coppie dello stesso sesso
Il legislatore italiano, dunque, pur avendo istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso non ha introdotto la possibilità (originariamente prevista nel testo di legge) per uno dei componenti della coppia di adottare il figlio del partner.
Secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo la relazione stabile di una coppia omosessuale rientra a pieno titolo nella nozione di “vita familiare”.
Uniformandosi a tale orientamento, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto al genitore omosessuale (c.d. genitore sociale) la possibilità di adottare il figlio del partner biologico se tra questi sussiste un legame familiare stabile e consolidato e qualora ciò risponda al preminente interesse della minore.
Tale riconoscimento è ammesso nella forma dell’adozione in casi particolari (prevista dall’art. 44 lett. d) della L. 184/1983) laddove vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Secondo i giudici, infatti, l’impossibilità di affidamento preadottivo non implica necessariamente uno stato di abbandono, ma ricorre anche nei casi di mera impossibilità di diritto, ovvero quando il minore non è in stato di abbandono ma è nel suo interesse provvedere al riconoscimento giuridico di rapporti di genitorialità più completi.
In tal modo si tende a garantire un riconoscimento giuridico - previo rigoroso accertamento da parte del giudice - a relazioni affettive stabili e continuative, ovvero a consolidare legami preesistenti ed evitare che si protraggano situazioni non regolate dal diritto.
Rispetto a quella piena o legittimante, l’adozione in casi particolari ha effetti più limitati, presupposti meno rigorosi e una maggior semplicità del procedimento. Soprattutto, la norma non prevede la necessità di un rapporto di coniugio, dunque può essere disposta anche a favore del convivente del genitore dell’adottando.
Competente è il Tribunale per i minorenni del distretto in cui il minore si trova che deve verificare l’esistenza dei requisiti prescritti, e valutare se l’adozione risponde al preminente interesse del minore. A tal fine può disporre le indagini opportune, tramite i servizi sociali e gli organi di pubblica sicurezza che dovranno accertare:
- l’idoneità affettiva;
- la capacità di educare ed istruire il minore;
- la situazione patrimoniale ed economica;
- la salute e l’ambiente familiare degli adottanti;
- i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore;
- la personalità del minore;
- la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore.
Secondo i giudici, inoltre, l’adozione in questione non è contraria all’ordine pubblico nazionale (ossia ai principi fondamentali etico-sociali attualmente vigenti nello Stato italiano). Ciò in quanto il bambino ha diritto ad avere e a godere delle relazioni affettive instaurate con le persone che, di fatto, fanno parte del suo nucleo familiare (a prescindere dai legami genetici eventualmente esistenti e dall’orientamento sessuale).
Anche in Italia, quindi, è possibile identificare un minore come figlio di una coppia omosessuale.
Novità degli ultimi anni
Ancor oggi, all’avvicinarsi della fine dell’anno 2022, la legge italiana non ammette che le coppie omosessuali, anche se legate e riconosciute attraverso le cc.dd. unioni civili, possano adottare. Tuttavia, proprio negli ultimi tempi, è intervenuta la Suprema Corte, che con pronunce di notevole rilievo hanno gettato le basi per un possibile cambio di rotta, intendendo in qualche modo sollecitare il legislatore affinché provveda ad introdurre anche nei riguardi di coppie dello stesso sesso la possibilità di accedere all’istituto dell’adozione.
Vediamo nel prosieguo quali sono i passaggi di rilievo e i principi ricavabili dagli assunti della Corte di Cassazione. Il riferimento, in particolare, va alla sentenza n. 9006/2021. Si ribadisce, innanzitutto, l’assunto in virtù del quale, nonostante il principio generale della non adottabilità da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso, deve, comunque, considerarsi possibile per uno dei partner adottare il figlio biologico che l’altro abbia avuto grazie al ricorso alla pratica della fecondazione eterologa praticata all’estero in uno dei paesi nei quali essa sia concessa. Partendo da tale presupposto, si è giunto alla statuizione secondo la quale una bimba nata mediante il ricorso alla fecondazione eterologa può ben avere due madri (o due padri) ed ottenere, in conseguenza di ciò, anche il doppio cognome.
La Corte è giunta a concludere che il dato da tenere in rilievo è individuabile nel benessere del minore, importando che egli viva serenamente in una famiglia felice, condizione che può ben verificarsi anche nei casi di unione tra persone dello stesso sesso che condividano un progetto di vita stabile. Si attribuisce in concreto spiccatamente rilevanza alla c.d. continuità affettiva di cui necessita il minore. In situazioni simili, peraltro, al minorenne è data facoltà di anteporre il cognome della madre/padre sociale (ossia quella/o che in sostanza adotta il figlio/la figlia dell’altra/o) a quello del genitore biologico. Il cognome, infatti si configurerebbe come parte essenziale e irrinunciabile della personalità di qualsiasi soggetto. In situazioni assimilabili a quella testé descritta, peraltro, si ritiene che il solo fattore dell’omoaffettività non sia di per sé solo sufficiente a costituire un ostacolo formale all’adozione.
Tutto ciò premesso e considerato, la Suprema Corte, tuttavia, si spinge oltre, sostenendo che l’opzione legislativa della genitorialità eterosessuale sia semplicemente il frutto di una scelta di politica legislativa, espressione di scelte effettuate in un campo eticamente sensibile e che deve essere in qualche modo attualizzata e contestualizzata, a seguito di ripensamento sul piano giuridico dell’opportunità. D’altronde, l’attuale legislazione italiana in materia si discosta nettamente da quanto previsto nel contesto internazionale ed ha carattere decisamente anacronistico. Ma v’è di più.
La pronuncia in commento si spinge sino a sanzionare, escludendone l’applicazione e finendo per estromettere dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano, le leggi promulgate in materia e non condivise, seguendo un doppio passaggio. Innanzitutto, esclude che la competenza sia attribuibile, in materia, al Tribunale dei minorenni, ritenendo che debba, al contrario essere devoluta alla Corte d’Appello (in ossequio alle norme di diritto internazionale privato). In seconda battuta, si esclude in radice il valore di tutta la normativa interna in materia di matrimonio e di riserva assoluta di adozione alle coppie eterosessuali dai cc.dd. principi di ordine pubblico internazionale. Inoltre, la Corte assume che non sarebbero applicabili le norme sull’adozione internazionale, le quali dispongono nel senso che il Tribunale per i Minorenni abbia il compito di verificare il rispetto delle condizioni legittimanti le adozioni internazionali, tra cui si richiede, tra l’altro la non contrarietà dell’adozione ai principi fondamentali che regolano nello Stato la materia del diritto di famiglia e del diritto minorile, compreso, in Italia, quello della riserva dell’eterogenitorialità.
Sarebbero al contrario applicabili le regole di diritto internazionale privato, in ragione delle quali sarebbe compito della Corte d’Appello territorialmente competente la valutazione, la quale dovrebbe verificare la non contrarietà in concreto degli effetti della sentenza all’ordine pubblico. Ciò in quanto solo uno dei coniugi risiedeva in Italia e nessuno dei due risiedeva, invece, sul territorio nazionale. Anzi, vi sarebbe di più, poiché la Corte di Cassazione a Sezioni Unite giunge ad escludere, invero, che abbia incidenza alcuna sull’idoneità dell’individuo all’assunzione della responsabilità genitoriale l’orientamento sessuale del soggetto, non costituendo principio di ordine pubblico internazionale.
Infine, si conclude che la discrezionalità esercitata dal legislatore italiano nell’escludere ai fini dell’accesso all’adozione l’equiparabilità al matrimonio delle unioni omosessuali non può assolutamente incidere sulla assoluta centralità dell’interesse del minore nelle decisioni concernenti il diritto del minore al suo diritto all’identità e ad uno sviluppo psico-sociale equilibrato. Sicché consegue che non può assurgere a principio di ordine pubblico internazionale la riserva di accesso all’adozione alle sole coppie eterosessuali.
Quanto asserito dalla Suprema Corte e brevemente riepilogato sopra, più che prospettarsi come decisione limitata al caso concreto, sembra orientata più che altro a sollecitare il legislatore italiano ad intervenire, revisionando le norme interne in materia di adozione, al fine di adeguarle alla normativa internazionale. Ciò nonostante, sino alla promulgazione di una nuova legge, i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità possono applicarsi esclusivamente alle coppie omosessuali composte da soggetti stranieri e residenti all’estero.
Marina Moretti, Chiara Biscella
Fonti Normative
- Legge 20 maggio 2016 n. 76: Regolamentazione delle unioni civili tra persone
dello stesso sesso e disciplina delle convivenze:
- Legge n. 4 maggio 1983 n. 184: Diritto del minore ad una famiglia;
- Cass. 30 settembre 2016, n. 19599
- Caso Schalk e kopf c. Austria, ricorso n. 30141/04.
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