In caso di divorzio, dopo quanto tempo ci si può risposare?

Successivamente al divorzio, l’uomo è libero di risposarsi, subito dopo l’annotazione della sentenza di divorzio, mentre la donna deve attendere trecento giorni dall’annotazione stessa, a tutela della paternità dell’eventuale nascituro. Vediamo i dettagli.

1. Nuovo matrimonio dopo il divorzio

L'argomento che tratteremo oggi, riguarda il tema del diritto di famiglia, e più precisamente, le tempistiche relative alla celebrazione di un nuovo matrimonio, successivamente alla conclusione della procedura di divorzio.
Il divorzio, infatti, comporta lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili relativi al matrimonio religioso, trascritto nei registri di stato civile, a seguito della separazione personale dei coniugi.
I coniugi, quando siano trascorsi sei mesi dalla separazione consensuale oppure un anno in caso di separazione giudiziale, possono rivolgersi al tribunale competente (di solito, dell’ultima residenza comune) affinché accertato il venir meno della comunione spirituale e materiale tra loro, ne dichiari il divorzio e disponga eventualmente sulle richiesta di concessione dell’assegno divorzile e di affidamento dei figli minori, ove presenti.

2. Ci si può sposare di nuovo immediatamente?

A seguito della sentenza di divorzio, i due coniugi non possono sposarsi immediatamente, in quanto è necessario, il suo passaggio in giudicato.

Occorre, infatti che la sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, sia definitiva e quindi non più contestabile dinanzi all’autorità giudiziaria.

L'impugnazione alla sentenza di divorzio, può essere proposta nel termine breve di 30 giorni, decorrenti dalla notifica della sentenza stessa alla parte soccombente oppure nel termine lungo di sei mesi, decorrente dalla pubblicazione della sentenza attraverso il suo deposito nella cancelleria del giudice.

I due coniugi, possono anche esprimere la loro volontà, sia espressamente o tacitamente, di non impugnare la sentenza di divorzio, manifestando in tal modo acquiescenza alla sentenza stessa e quindi la sua accettazione.
A seguito del decorso di tali termini, senza che uno dei coniugi decida di proporre appello, la sentenza di divorzio diventa definitiva e quindi passa in giudicato.

Successivamente al suo passaggio in giudicato, è necessario, che la sentenza venga trasmessa da parte del cancelliere del giudice o del collegio giudicante, che l’ha emessa, all’ufficiale di stato civile del comune di trascrizione dell’atto di matrimonio, affinché provveda alla sua annotazione nei registri di stato civile.

Tale adempimento è fondamentale, in quanto solo a seguito dell’annotazione della sentenza nei registri dello stato civile, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, acquisiscono efficacia, permettendo ai due coniugi, di riacquistare lo stato libero e non più come coniugati.

Ciò significa, che a seguito del divorzio, i due coniugi devono attendere che la sentenza di divorzio, passata in giudicato, venga annotata nei registri civili, e poi saranno liberi di
contrarre un nuovo matrimonio.

3. Divieto temporaneo di nuove nozze

Mentre, l’uomo può intraprendere immediatamente le pratiche per la celebrazione di un nuovo matrimonio, fin dal giorno di annotazione nei registri dello stato civile della sentenza di divorzio, la donna pur se divorziata a tutti gli effetti, è invece tenuta ad aspettare un periodo di 300 giorni.

L’ordinamento, infatti, tende a tutelare la posizione di eventuali nascituri, evitando il verificarsi di una situazione d’incertezza in merito alla paternità del figlio nato dopo lo scioglimento o cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio.

Ciò in quanto, è prevista una presunzione di paternità, secondo cui il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio.

Proprio, al fine di evitare qualsiasi dubbio, sulla nascita della prole successivamente alla pronuncia di divorzio, il codice civile, prevede espressamente all’articolo 89, il divieto temporaneo a contrarre un nuovo matrimonio, nei confronti della donna, fino a quando non siano trascorsi 300 giorni dallo scioglimento o cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio.

Tale termine, s’interrompe automaticamente, facendo venir meno il divieto, non appena l’eventuale gravidanza, sia portata a termine.

Il divieto di celebrare un nuovo matrimonio, immediatamente dopo la sentenza di divorzio, non si applica nei casi:

  • in cui sia intervenuta l’omologazione della separazione consensuale; 
  • oppure sia passata in giudicato, divenendo definitiva, la sentenza relativa alla separazione giudiziale tra i coniugi;
  • oppure nell’ipotesi del matrimonio non consumato;
  • oppure nei casi di matrimonio dichiarato nullo, a causa dell’impotenza generandi di uno dei due coniugi.
     

Oltre a tali casi, il codice civile, prevede anche la possibilità di rivolgersi al tribunale, affinché possa concedere alla donna, la dispensa dal divieto di nuove nozze.

È previsto, infatti, che su ricorso dell’interessata, e sentito il pubblico ministero, il tribunale competente, possa autorizzare, con decreto, il nuovo matrimonio senza dover attendere il termine dei 300 giorni, qualora:

  • sia escluso, senza alcun dubbio, lo stato di gravidanza
  • o risulti dalla sentenza passata in giudicato, che l’ex marito, non ha convissuto con la moglie, nei trecento giorni antecedenti allo scioglimento o cessazione degli effetti civile del loro matrimonio.

Nel caso di decisione negativa da parte del tribunale , la donna può proporre reclamo avverso al decreto, ricorrendo dinanzi alla Corte d’Appello, entro il termine di dieci giorni , dalla notifica del decreto medesimo.

Nel caso in cui, la donna, nonostante il divieto di contrarre il nuovo matrimonioproceda alla celebrazione delle nozze, senza attendere il termine dei 300 giorni, ilvincolo matrimoniale contratto, non sarà soggetto ad alcuna azione di annullamento , in quanto la violazione del divieto, imposto dall’articolo 89 del codice civile, non costituisce causa di nullità del matrimonio medesimo, ma comporta soltanto una sanzione amministrativa di importo variabile da 20€ fino ad 82€, a carico della donna, del coniuge e del pubblico ufficiale, che celebra la cerimonia.

4. Novità Legislative

In materia di divorzio, un elemento importante è rappresentato dal riconoscimento dell’assegno divorzio a favore del coniuge economicamente più debole. Infatti, la Legge n. 898 del 1970, prevede espressamente, che l’obbligo al versamento dell’assegno divorzile, permane fin quando, il coniuge beneficiario, non contragga un nuovo matrimonio, purché ricorrano i presupposti per la sua concessione.

In tal senso, recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, ha modificato l’orientamento vigente per parecchi anni, secondo cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio doveva basarsi sul tenore di vita, goduto in costanza di matrimonio, preferendo il nuovo criterio della capacità reddituale e lavorativa del coniuge richiedente.

Attualmente, infatti, il coniuge che richiede l’assegno di divorzio, deve fornire la prova della propria incapacità a procurarsi autonomamente un reddito da lavoro, per far fronte alle proprie esigenze quotidiane. A tal fine, i giudici di legittimità, hanno affermato il principio secondo cui “ …l'assegno divorzile svolge una funzione sia assistenziale che perequativa e compensativa, e va determinato alla stregua dei canoni enunciati dalla Cassazione sent. 18287/18…, In tutti i casi in cui l'assegno non sia riconosciuto, non ricorrendo in concreto le condizioni per valorizzare la funzione compensativa, è perché il coniuge richiedente, si trova in condizioni di "autosufficienza economica".

L'esistenza di un obbligo di pagamento dell'assegno implica un perdurante legame di dipendenza (economica) tra gli ex coniugi che non c'è quando detto obbligo non sussista, cioè quando entrambi sono indipendenti economicamente”. (Cass. Civ., Sez. I ord. 8 Marzo 2022 n. 7596). La Suprema Corte di Cassazione, intervenuta nell’ipotesi di instaurazione di una nuova convivenza di fatto, ha chiarito, che il coniuge, che non abbia adeguati mezzi propri per far fronte ai propri bisogni ovvero che per motivi oggettivi, sia impossibilitato a procurarseli, preserva il diritto al mantenimento da parte dell’ex coniuge, anche se egli abbia instaurato una nuova relazione, quale stabile convivenza di fatto.

Ciò in funzione compensativa, dell’apporto alla formazione del nucleo familiare, del coniuge economicamente più debole, come ad es. la crescita dei figli, la rinuncia ad offerte di lavoro o di carriera nell’interesse della famiglia. (Cass. Civ., Sez. VI ord. 23 Febbraio 2022 n. 5955). Nell’ipotesi di nuova convivenza del coniuge obbligato al versamento dell’assegno divorzile, tale circostanza non costituisce da sola, elemento tale da da giustificare la diminuzione dell’importo dell’assegno, dal momento che il coniuge onerato, deve fornire la prova concreta, che la nuova formazione familiare costituita con la convivenza di fatto, abbia comportato una diminuzione della propria capacità reddituale, tale da imporre al giudice investito della questione, una nuova valutazione della situazione economica intercorrente tra i due ex coniugi. (Cass. Civ., Sez. I sent. 11 Gennaio 2022 n. 518).

Fonti normative

Codice civile: articoli 89, 140.
Codice di procedura civile: articoli 325, 326, 329.
Legge 1 dicembre 1970, n. 898: "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio".

 

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