Cos'è il divorzio giudiziale?

Il divorzio giudiziale è l’unico istituto giuridico che permette ai due coniugi di sciogliere il matrimonio civile e il matrimonio concordatario, ovvero quello celebrato in Chiesa e trascritto nei registri dello stato civile, facendo cessare gli effetti giuridici dati dal matrimonio stesso.

1. Il divorzio giudiziale

Si può parlare di divorzio giudiziale quando marito e moglie, già separati di fatto, non trovano l'accordo sulle condizioni del divorzio (spesso per questioni economiche e finanziarie, o per i figli, o per l'assegnazione della casa coniugale); ove solo uno dei due chiede il divorzio o quando un coniuge risulta irreperibile.

Solitamente, il coniuge interessato deve intentare causa al Tribunale del luogo dell'ultima residenza comune della coppia; è obbligatorio essere assistiti da un avvocato divorzista e depositare apposito ricorso giudiziale.

2. La procedura e i tempi del divorzio giudiziale

La procedura per il divorzio giudiziale dei coniugi è introdotta con ricorso da depositare presso il tribunale e necessita, come specificato nel paragrafo precedente, dell'assistenza obbligatoria di un avvocato divorzista. I tempi saranno determinati della maggiore o minore conflittualità tra i coniugi e dalle prove richieste dal giudice. Talvolta la procedura può durare anche anni interi proprio per il disaccordo tra le due parti.

3. Come funziona e quanto dura un divorzio giudiziale

La procedura che porterà al divorzio avrà inizio una volta che siano trascorsi 6 mesi dalla data dell'udienza di separazione consensuale o trascorso un anno dalla data di separazione giudiziale. Una volta decorsi detti termini un coniuge può depositare ricorso, notificandolo all'altro coniuge: da questo momento la palla passa al giudice. Se nel corso della causa le parti si accordano, il divorzio si chiamerà congiunto altrimenti, si procede come da prassi di processo civile. Alla prima udienza i coniugi, assistiti dai rispettivi avvocati, vengono convocati dal presidente del tribunale: in tale sede costui può prendere quei provvedimenti che risultino necessari e urgenti per la tutela dei figli e del coniuge più debole. Il procedimento si conclude con una sentenza.

Il processo ha durata variabile in ordine al numero di prove presentate, alle testimonianze necessarie e alle indagini da svolgere. Per questo è di fondamentale importanza l'assistenza legale di uno studio qualificato. La consulenza di un avvocato esperto riesce a prevenire molte di quelle difficoltà cui un percorso del genere inevitabilmente va incontro.

4. La sentenza parziale di divorzio

La sentenza parziale è una sentenza non definitiva, che dichiara lo scioglimento del matrimonio e la decisione sulle questioni che non sono oggetto di controversia: tale sentenza, una volta passata in giudicato, consentirà alle parti di ottenere lo stato civile di libero. Le altre questioni procederanno in maniera indipendente.

5. Documentazione necessaria per il divorzio giudiziale

Per il divorzio giudiziale sono necessari una serie di documenti:

1) atto integrale di matrimonio;

2) copia autentica del verbale di separazione consensuale o della sentenza di separazione;

3) stato di famiglia e residenza;

4) carta d'identità e codice fiscale;

5) dichiarazione dei redditi delle ultime 3 annualità;

6) altri documenti che si rendano necessari per stabilire lo stato patrimoniale delle parti.

6. Come viene calcolato il contributo per il mantenimento del coniuge

 Innanzi tutto: cosa dice la norma? Secondo la Legge, 01/12/1970 n° 898, aggiornata dal D.Lgs. n. 21 del 1° marzo 2018 – nello specifico, art. 5/6° comma del detto decretoi –, l’assegno viene attribuito e viene quantificato, sulla base dei seguenti presupposti:

  • presenza di patologie invalidanti, che possano in qualche modo inibire la capacità lavorative, debitamente certificata e documentata;
     
  • che entrambi i coniugi abbiano fornito un concreto contributo personale ed economico alla conduzione della famiglia e alla formazione del patrimonio personale di ogni coniuge, oltre che al patrimonio comune familiare;
     
  • capacità reddituale di ciascun coniuge – la disparità di reddito;
     
  • la durata del matrimonio
     
  • i motivi della decisione, attribuendo dunque eventuale natura risarcitoria

Tale modifica ha cancellato il seguente assunto, contenuto precedentemente nella legge: “un assegno in proporzione alle proprie sostanze e ai propri redditi”.Con particolare riferimento alla durata, si ritiene che, durante un matrimonio piuttosto breve – due o tre anni –, sia piuttosto difficile che un coniuge possa avere concretamente contribuito alla creazione del patrimonio dell’altro o, comunque, al patrimonio comune.

Il Giudice ritiene l’esistenza di tali condizioni allorquando una moglie, dopo parecchi anni di matrimonio – dunque non più giovanissima –, che abbia scelto di comune accordo col marito di dedicarsi principalmente alla famiglia e, dunque, anche al marito stesso e che abbia rinunziato alla propria carriera, ad un certo punto si ritrovi improvvisamente sola, senza lavoro e con scarse opportunità professionali, non avendo alcuna esperienza.

Senonché, come ogni norma, anche questa è stata – ed è tutt’oggi, come sarà in futuro – oggetto di interpretazione: il giudice, in sostanza, con la propria sentenza, dà una propria lettura e una propria “traduzione” alle parole contenute nella legge. Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito a svariate interpretazioni, contenute nelle sentenze che di seguito si illustrano, che hanno fatto storia e che hanno fatto parlare i media e la gente comune, fino ad arrivare, nel 2018, ad una decisione della Cassazione a Sezioni Unite.

6.1. Gli anni Novanta

Il filotto giurisprudenziale degli anni Novanta – durato fino al 2017 –, riteneva fondamentale ed essenziale che venisse mantenuto, dai coniugi, il medesimo tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.iii Questo criterio consisteva nel porre a carico del coniuge economicamente più “forte”, l’obbligo di corrispondere al coniuge più “debole” – generalmente la moglie –, un contributo per il suo mantenimento, tale da permettere a quest’ultimo lo stesso tenore di vita avuto durante la vita matrimoniale. Al Giudice, quindi, spettava il compito di riequilibrare la situazione economica quo ante, qualora il divorzio provocasse ad uno dei due coniugi un peggioramento delle proprie condizioni economiche.

6.2. La famosa sentenza che “spazzò via” l’assegno

Dopo quasi trent’anni, però, la Cassazione pronunziò una sentenza che fu definita “rivoluzionaria”, che fece il giro di tutti i mass media e che diffuse il panico fra le mogli che si accingevano a divorziare. Si tratta della famosa sentenza della I sezione civile dell’11 maggio 2017, n. 11504, c.d. “sentenza Grilli”. Con tale pronuncia, non solo viene spazzato via il criterio del “medesimo tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio”, ma il diritto stesso all’assegno.

In buona sostanza, la Cassazione ha ritenuto come non vi fosse più il concetto di indissolubilità del matrimonio, che col divorzio il matrimonio facesse cessare ogni effetto civile e che, conseguentemente, non vi fosse ragione di mantenere in vita obblighi attinenti ad una situazione giuridica venuta meno. Residuava, pertanto, un solo presupposto per il diritto all’assegno: quello dello stato di indigenza correlato all’impossibilità oggettiva di procurarsi i mezzi per vivere, a causa, per esempio, di patologie invalidanti o dell’età ormai avanzata del coniuge debole.

Soltanto dopo avere accertato l’esistenza di tale presupposto, il Giudice avrebbe dovuto stabilire l’obbligo di corresponsione dell’assegno e il correlativo diritto a riceverlo e, quindi, ne avrebbe determinato l’ammontare.

6.3. La Cassazione rivisita la sua posizione e nascono orientamenti divergenti

Seguiva una ulteriore sentenza della Cassazione – la n. 12196/2017 – che aggiustava il tenore della sentenza Gilli, laddove affermava come il principio dettato da quest’ultima valesse soltanto per l’assegno divorzile; in fase di separazione, al contrario, essendo ancora in vita il matrimonio, l’assegno avrebbe dovuto seguire i vecchi criteri seguiti negli anni precedenti, fra cui il medesimo tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.

A partire a questo momento, abbiamo assistito ad una moltitudine di pronunzie, sia da parte delle Corti di merito, sia da parte della Suprema Corte, i cui orientamenti oscillavano vistosamente in un senso piuttosto che nell’altro, dando vita a decisioni altamente discordanti sia in punto di diritto all’assegno – diritto solo in fase di separazione, piuttosto che anche in fase di divorzio –, sia in punto di quantificazione – criterio del medesimo tenore di vita si, criterio del medesimo tenore di vita no: ciò che ha comportato l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, affinché venisse fornita una stabile linea di orientamento.

6.4. Le Sezioni Unite del 2018

Le Sezioni unite, con sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018, scelgono la via di mezzo fra i due orientamenti sopra descritti.

  • Si discostano dall’orientamento degli anni Novanta, laddove statuiscono che il tenore di vita non debba essere un diritto del coniuge più debole.
     
  • Si discostano, altresì, dall’orientamento della sentenza c.d. Grilli del 2017, laddove affermano come il diritto al mantenimento sussista anche laddove il coniuge più debole abbia, comunque, una sua autosufficienza economica, a patto che colui che lo richiede dia prova di avere contribuito alla formazione del patrimonio, durante il matrimonio.

Viene, così, definito dalla Suprema Corte il seguente nuovo principio di diritto: “ai sensi dell’art. 5 co. 6 della L. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”. Richiamando i principi contenuti negli articoli 2 e 29 della Costituzione – principio della solidarietà post-coniugale –, all’assegno divorzile viene, così, attribuita una funzione di assistenza, di livellamento e di compensazione.

7. Il coniuge in una convivenza: che fine fa l'assegno di mantenimento?

Fino all’anno 2021, allorquando il coniuge beneficiario avesse intrapreso una convivenza, il suo diritto all’assegno di mantenimento si estingueva. Tale orientamento giurisprudenziale da un lato si discostava vistosamente dalla normativa che, al contrario, fa cessare tale obbligo solo a seguito di un nuovo matrimonio.

V’è, però, da dire che tale orientamento prendeva le mosse dalla realtà di fatto venutasi a creare negli ultimi decenni, laddove il fenomeno della convivenza si è sempre più “accostato” al matrimonio, vantandone – e talvolta ottenendone – anche alcuni benefici. Senonché, la Cassazione a Sezioni Unite, discostandosi da tale precedente orientamento, è intervenuta con la sentenza n. 32198 del 5 novembre 2021, affermando come il coniuge beneficiario, che abbia intrapreso una nuova convivenza, non veda sfumato il proprio diritto all’assegno di mantenimento.

La ratio, i presupposti, i criteri ed i parametri per l’insorgenza e la quantificazione dell’assegno di mantenimento, non possono essere automaticamente soppressi solo perché il coniuge beneficiario abbia scelto di ricominciare una relazione affettiva, ma va riconsiderato ogni singolo caso concreto, tenendo comunque sempre fermi i predetti presupposti e criteri, sulla base o in mancanza dei quali, l’assegno potrà rispettivamente essere mantenuto tale, rivisitato o revocato.

 

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Avvocato Tecla Minotti

Tecla Minotti

Sono l'avv. Tecla Minotti del Foro di Milano e mi dedico principalmente alla materia di DIRITTO CIVILE, in particolare DIRITTO DI FAMIGLIA, CONTRATTUALISTICA, DIRITTO DEL LAVORO, RECUPERO DEI CREDITI, ESECUZIONE, DIRITTO TRIBUTARIO. Es ...