Quando un magistrato è responsabile?
Chiunque abbia subito un danno ingiusto, di natura patrimoniale o non patrimoniale, a causa di un comportamento o un provvedimento posto in essere da un magistrato con dolo o colpa grave, può agire, a determinate condizioni, contro lo Stato, per ottenerne il risarcimento.
1. La responsabilità del magistrato
La disciplina per ottenere il risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie è contenuta nella Legge n. 117 del 13 aprile 1988, denominata Legge Vassalli, così come riformata nel 2015.
Essa riguarda tutti gli appartenenti alla magistratura ordinaria (civile e penale), amministrativa, contabile, militare e speciale, nonché quei soggetti estranei che partecipano all’esercizio dell’attività giudiziaria.
La normativa cerca di contemperare due contrapposte esigenze:
- salvaguardare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura;
- non lasciare privi di adeguato ristoro alcuni danni provocati da comportamenti giudiziari negligenti.
È necessario, a questo punto, soffermarsi sulle caratteristiche peculiari di tale disciplina, in modo tale da comprenderne presupposti e modalità di azione e, in altre parole, rispondere alla domanda “cosa è e quando avviene la responsabilità del magistrato”.
1.1 La responsabilità indiretta
Chi ha subito un danno a causa di un provvedimento o di un comportamento giudiziario deve rivolgere la propria richiesta di risarcimento non al magistrato bensì direttamente allo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, avanti il Tribunale del capoluogo della Corte d’Appello, secondo le norme del codice di procedura civile.
Si tratta di una ipotesi di responsabilità per fatto altrui o di responsabilità indiretta, che trova una eccezione solamente nel caso in cui il magistrato abbia cagionato il danno mediante un fatto costituente reato. In tal caso, il danneggiato potrà rivolgersi indifferentemente nei confronti di quest’ultimo o, ugualmente, nei confronti dello Stato.
L’azione di risarcimento nei confronti dello Stato può essere promossa solamente quando il danneggiato abbia esaurito gli ordinari mezzi di impugnazione accordati dall’ordinamento nei confronti del comportamento o provvedimento pregiudizievole.
Tale azione dovrà essere esperita, a pena di decadenza, entro tre anni, che decorrono, in termini generali, dal momento in cui il danneggiato non ha più alcun mezzo per poter far valere le proprie pretese.
Successivamente, lo Stato, entro due anni dall’avvenuto risarcimento, potrà esercitare azione di rivalsa dei confronti del magistrato colpevole, il quale risponderà per il 50% del suo stipendio annuo netto in caso di colpa grave, e per l’intero in caso di dolo.
1.2 L’ingiustizia del danno subito
Può essere chiesto il risarcimento quando si subiscono dei danni ingiusti, ossia provocati da atti, comportamenti o provvedimenti posti in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia. Si tratta, quindi, di una responsabilità per colpa grave o per inadempimento.
La legge ha tipizzato le ipotesi di colpa grave:
- la manifesta violazione delle fonti normative italiane o dell’Unione Europea, tenuto conto di alcuni indici sintomatici, quali la chiarezza e la precisione del dato normativo;
- il travisamento del fatto o delle prove;
- l’affermazione di un fatto la cui esistenza è esclusa senza discussione dagli atti del procedimento o, viceversa, la negazione di un fatto la cui esistenza risulta senza dubbio dagli atti;
- emissione di un provvedimento cautelare personale o reale in ipotesi non espressamente previste, ovvero non motivati.
L’altra ipotesi che può dar luogo ad un danno ingiusto è il diniego di giustizia. Essa si ha allorquando il magistrato omette, ritarda o rifiuta il compimento di atti del suo ufficio, nonostante la parte interessata abbia presentato istanza per ottenere il provvedimento, trascorsi inutilmente trenta giorni, salvo proroghe, dal relativo deposito in cancelleria.
La riforma del 2015 ha eliminato qualsiasi controllo di ammissibilità della domanda di risarcimento del danno, in termini di verifica dei presupposti e manifesta infondatezza, affidato ai tribunali distrettuali.
1.3 La clausola di salvaguardia
La clausola di salvaguardia rappresenta una zona di immunità della responsabilità per danno del magistrato.
Il magistrato, infatti, non è chiamato a rispondere dell’attività di interpretazione della legge e di valutazione del fatto e delle prove, in quanto considerata attività insindacabile e soggetta al libero apprezzamento di ogni magistrato.
La parte processuale, in tale fattispecie, potrà invocare rimedi di natura interni al processo, attraverso l’impugnazione del provvedimento che si presume viziato.
La riforma del 2015, tuttavia, ha delimitato i confini di tale irresponsabilità escludendo da tale ambito i casi di dolo e colpa grave come sopra menzionato.
Andrea Lillo
Fonti normative
Legge 13 aprile 1988, n. 117: Legge in materia di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati.
Legge 27 febbraio 2015, n. 18: Legge in materia di disciplina della responsabilità civile dei magistrati.
Codice di procedura civile: articolo 11.
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