Sentenza cassazione mensa scolastica
In tempi recenti la Corte di Cassazione ha fornito risposta ad una questione controversa di cui è stata investita e vertente in materia di fruizione della mensa scolastica.
In specie, a fronte di due contrapposte posizioni sul punto, rispettivamente sposate da un gruppo di genitori e, d’altro canto, dall’amministrazione, in particolare quella scolastica, alla Suprema Corte è stata rimessa la seguente questione:
“Se sia configurabile un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, eventualmente quale espressione di una liberà personale inviolabile, il cui accertamento sia suscettibile di ottemperanza, di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto portato da scuola e, comunque, nell’orario destinato alla refezione scolastica, alla luce della normativa di settore e dei principi costituzionali, in tema di diritto all’istruzione, all’educazione dei figli e all’autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari (artt. 2, 3, 30 comma 1, 32, 34 commi 1 e 2 Cost.); se possa essere interpretata in senso ricognitivo di un simile diritto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5156 del 2018, confermativa di sentenza che ha annullato per eccesso di potere una delibera di un comune che vietava, nei locali in cui si svolge il servizio di refezione scolastica, il consumo, da parte degli alunni di cibi diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice del servizio.”
Tanto sulla prospettazione, come si anticipava, di due opposte posizioni. Le parti private, rappresentate dai genitori degli alunni delle scuole dell’obbligo, azionano un preteso diritto alla c.d. autorefezione nell’orario e nei locali scolastici in quanto espressione del generale diritto costituzionale dell’uguaglianza, sancito dall’articolo 3 della Carta fondamentale.
L’uguaglianza cui il ricorso dei genitori fa riferimento dovrebbe essere intesa quale offerta a tutti di pari opportunità e sarebbe, invero, lesa allorquando fosse preclusa in toto la facoltà di rinunciare ad un servizio considerato facoltativo qual è quello alla mensa, per optare ad un altro diritto, quello all’autorefezione, considerato in termini di facoltà naturale dell’individuo, afferente al profilo della sua libertà personale nonché quale espressione del diritto all’autodeterminazione in campo alimentare, oltre che dei principi in tema di obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore, assunti gravemente compromessi se un servizio facoltativo divenisse obbligatorio e condizionante la partecipazione degli alunni a segmenti educativi.
Infine, sarebbe espressione anche dei diritti dei genitori-lavoratori, che, d’altronde, sarebbero costretti ad accudire i figli durante e dopo la pausa pranzo, con una non sempre agevole riorganizzazione della vita familiare.
Secondo la tesi opposta, di cui si fa portavoce l’amministrazione, dovrebbe escludersi che sia configurabile in capo agli alunni che optano per il tempo pieno o prolungato il diritto di portare a scuola cibi propri, sottraendosi al servizio mensa offerto dall’istituto scolastico.
Tanto sull’assunto secondo il quale ciò andrebbe ad incidere direttamente ed impropriamente sulle modalità di organizzazione del servizio di refezione scolastica, di spettanza esclusiva dell’istituzione scolastica, in quanto comporterebbe l’adozione di un sistema di refezione differente rispetto a quello già in essere.
La Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, aderisce a questo secondo filone interpretativo, giungendo all’affermazione del principio di diritto per cui un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale nell’orario mensa e nei locali scolastici non sarebbe configurabile, e tanto sulla base delle argomentazioni giuridiche che di seguito brevemente si riepilogheranno.
Si osserva, innanzitutto, che il tempo mensa deve considerarsi compreso nel tempo scuola, in quanto anch’esso condivide le finalità formative del progetto scolastico nonché in quanto espressione di una funzione di educazione all’alimentazione sana, cui si fa concorrere, altresì, quella di socializzazione attuata mediante la consumazione del pasto insieme ai compagni.
Queste finalità risulterebbero assolutamente incoerenti con l’assunto diritto di autorefezione individuale. Il pasto, infatti, lungi dal costituire un momento di incontro occasionale tra meri consumatori di cibo, costituirebbe frangente di socializzazione e condivisione (anche del cibo), in condizioni di eguaglianza anche all’interno di un progetto formativo comune. Inoltre, rammenta la Corte, l’assistenza scolastica viene prestata nei limiti delle risorse, anche economiche, disponibili.
Il diritto soggettivo autonomo all’autorefezione scolastica, che i genitori gli studenti non aderenti al servizio mensa pretendono di vedere riconosciuto in capo ai propri figli, in realtà, finirebbe per costringere l’organizzazione scolastica alla rimodulazione del servizio pubblico in modo oggettivamente, anche se parzialmente, differente rispetto a quanto già era stato effettuato all’esito di un procedimento amministrativo già concluso e che aveva visto coinvolte tutte le componenti dell’istituzione scolastica stessa.
Si andrebbe, d’altronde, a richiedere agli insegnanti un livello di attenzione verso gli alunni che usufruirebbero del pasto libero affatto differente rispetto a quello dovuto nei riguardi degli studenti che partecipano al servizio mensa.
A ciò si deve aggiungere la constatazione che occorrerebbe prevedere l’impiego di personale docente differente ed ulteriore rispetto a quello già destinato al controllo degli studenti che usufruiscono del servizio mensa, oltre che l’implicazione di una revisione delle condizioni contrattuali del personale addetto al servizio pulizia nei locali utilizzati da quella parte di alunni che consumano il pasto portato da casa.
Tutto ciò con un notevole aumento del dispendio di risorse anche in termini economici.
Occorre, infine, prendere in considerazione il fatto che l’istituzione scolastica è luogo in cuisi espletano lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità culturali, ma ciò deve avvenire nei limiti di una ragionevole compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità scolastica, da interpretarsi secondo regole cogenti e tenuto presente che gli alunni sono tenuti a doveri comportamentali improntati al reciproco rispetto, alla condivisione e alla tolleranza.
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