Sentenza Cassazione Alzheimer: le ultime novità
Il morbo di Alzheimer rappresenta il 50-80% dei casi di demenza. Vediamo insieme quali sono le ultime sentenze.
Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza, un termine generale che si riferisce alla perdita di memoria e di altre abilità intellettuali talmente grave da interferire con la vita quotidiana. Il morbo di Alzheimer rappresenta il 50-80% dei casi di demenza.
Come confermato dal Consiglio di Stato nella sentenza 2046 del 2015, tale malattia non si presta alla prestazioni di elevata integrazione sanitaria di cui all’art. 3, d.P.C.M. 14 febbraio 2001 atteso che non ha una fase post-acuta o comunque di durata breve e definita, nella quale intervenire in modo intensivo, ma richiede lunga assistenza, così da risultare riconducibile agli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell’autonomia, non assistibili a domicilio.
In passato la giurisprudenza maggioritaria riteneva che “In ossequio all’art. 54 l. 289/2002 – diretta espressione del D.P.C.M. 29/11/2001 che ha recepito i livelli essenziali di assistenza che devono essere garantiti dal Fondo Regionale e Nazionale per la non autosufficienza – non esiste alcuna norma imperativa che ponga interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale l’esborso per l’attività prestata in favore di un soggetto affetto dal morbo di Alzheimer.
Conseguentemente, anche in applicazione del principio di solidarietà familiare, deve ritenersi legittima la compartecipazione alle spese ad opera del beneficiario stesso, del coniuge o dei parenti in linea retta di colui che benefici del servizio di assistenza”.
Nella stessa direzione si era espresso il Tribunale di Trieste con la sentenza 26/2019 secondo cui “Tra le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria di competenza delle aziende unità sanitarie locali ed a carico delle stesse rientrano quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall’inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza.
Tale definizione esclude di potervi ricomprendere il morbo di Alzheimer, patologia notoriamente caratterizzata non da una fase post-acuta, ma integrante una patologia cronico-degenerativa che incide sulle funzioni cognitive.
Di conseguenza per la patologia Alzheimer, rientrante tra le patologia “nelle forme di lungoassistenza semiresidenziali e residenziali” è espressamente prevista la ripartizione del costo complessivo per il 50% del costo complessivo a carico del SSN, con riferimento ai costi riconducibili al valore medio della retta relativa ai servizi in possesso degli standard regionali, o in alternativa il costo del personale sanitario e il 30% dei costi per l’assistenza tutelare e alberghiera e per il restante 50% del costo complessivo a carico del Comune, fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale.”
Tale orientamento, tuttavia, è stato definitivamente separato con la storica sentenza emessa dal Tribunale di Firenze il 29 dicembre 2020 con la quale si è sancito il principio di gratuità dell’assistenza sanitaria per i malati di alzheimer.
La sentenze si fonda sull’opposizione a decreto ingiuntivo, dal valore di quasi 19 mila Euro, presentata dalla nipote di una donna affetta da alzheimer fattogli recapitare dalla struttura RSA presso la quale la nonna era ospite che vantava, a suo dire, ratei per il ricoveri espressamente previsti nel contratto.
Il Tribunale di Firenze ha revocato il decreto ingiuntivo, dichiarando nullo ex art. 1418 c.c. il contratto contenente l’impegno assunto dalla nipote e condannato l’Azienda pubblica di Servizi alla Persona Firenze Montedomini alla restituzione delle rette di ricovero corrisposte fino a quel momento, pari a 7.767,05 euro, oltre interessi e spese legali.
Tale sentenza, dunque, garantisce il diritto ad un’assistenza qualificata gratuita dando conforto anche economico ai parenti/caregiver spesso costretti ad indebitarsi per sostenere costi di cura sempre più elevati. Hai bisogno di un servizio web legale che ti metta in contatto con i migliori avvocati? Esponici il tuo caso.
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