Il Revenge Porn
Il “revenge porn” è l’atto di condivisione di immagini o video intimi in rete di una persona senza il consenso della medesima.
- Che cos'è il revenge porn
- Le pene previste
- Circostanze aggravanti
- La situazione del revenge porn in Italia
- Le conseguenze per le vittime
Quotidianamente assistiamo a vicende di cronaca che hanno come protagoniste predestinate giovani donne, molto spesso adolescenti, vittime di una pratica vile ben nota come revenge porn.
In questo breve articolo analizzeremo tale fattispecie di reato recentemente introdotta dal Legislatore penale interrogandoci sulle conseguenze per gli autori e per le vittime dello stesso reato.
1. Che cos'è il revenge porn
Il “revenge porn” è l’atto di condivisione di immagini o video intimi in rete di una persona senza il consenso della medesima. Sotto il profilo criminologico il revenge porn viene considerato un particolare tipo di “ponografia non consensuale”, poiché la diffusione del materiale privato ed intimo viene adoperata da un soggetto legato sentimentalmente alla vittima, molto spesso l’ex partner.
Esso viene definito come vendetta pornografica, poiché viene attuata alla fine di una relazione, con l’abuso del materiale in possesso dell’aguzzino riguardante la vittima. Viceversa la “pornografia non consenziente” avviene ad opera di soggetti estranei alla persona offesa.
Legge n. 69 del 19 luglio del 2019, nota come Codice Rosso, ha introdotto diverse fattispecie di reato all’interno del nostro codice penale, come l’art. 612 ter, rubricato come “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” con l’intento di reprimere e punire tale condotta criminosa.
Analizziamo attentamente il novellato legislativo, al primo comma troviamo la descrizione della condotta: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000”.
Al secondo comma troviamo un altro tipo di condotta, oggetto della medesima disciplina: “la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento”.
Pertanto il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, comunemente detto revenge porn è costituito da due fattispecie di reato entrambe punite con la medesima pena: a) la prima fattispecie, contenuta al comma 1 della norma, consiste nel produrre, sottrarre inviare, consegnare, cedere o immettere nel web video o foto a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati senza il consenso della persona ivi ritratta.
La condotta è coperta da dolo generico. Vi è una progressione per la quale inizialmente si pongono in essere azioni che possono anche non essere punibili, salvo l’ipotesi in cui l’antefatto possa ricadere nelle interferenze illecite nella vita privata (615 bis c.p.).
Ciò che fa scattare la punibilità è la diffusione del materiale che doveva rimanere privato. Pertanto, il consenso costituisce l’aspetto problematico dell’applicazione della norma: pensiamo al caso in cui l’imputato assuma che il consenso della divulgazione dell’immagine gli sia stato concesso.
Ovviamente si tratta di un onere gravoso per la difesa. Infatti, la norma sembra abbia voluto introdurre una presunzione, a favore della persona offesa, per la quale il materiale prodotto nell’intimità debba rimanere privato.
Si consideri che la condotta può essere realizzata anche mediante l’hackeraggio dello spazio cloud della vittima, del proprio dispositivo elettronico o con la consegna dello stesso a terzi (si veda l’ipotesi di deposito in assistenza del proprio pc o smartphone). b) la seconda fattispecie è costituita dall’azione di colui che riceve il materiale ed a sua volta lo diffonde senza il consenso della vittima.
In questo caso il dolo è specifico essendovi il fine di procurare un danno alla persona offesa. Oltre al fenomeno dell’hacking, la captazione del materiale può avvenire tramite sexting, consistente nella ripresa di foto o video da parte della stessa vittima e poi inviate a terzi, o tramite la ripresa delle immagini intime durante un rapporto sessuale con il consenso della vittima.
In questi due casi, molto spesso, la persona offesa imprudentemente si ritrae per gioco o si far ritrarre da una persona di fiducia, come il proprio partner, ma la divulgazione del materiale prodotto avviene senza il consenso e con una propagazione nel web inesorabilmente incontrollata. Vi è poi il fenomeno dello spy cam, ossia la ripresa della vittima, non solo durante il rapporto sessuale, ma anche in bagni pubblici o spogliatoi con telecamere nascoste.
Il reato in disamina viene definito dalla letteratura criminologica come la nuova frontiera della violenza sessuale, un vero e proprio abuso sessuale basato sull’immagine, molto spesso definito come cyber-stupro (Perrone).
2. Le pene previste
Come anticipato nell’analisi normativa la condotta dell’autore del reato è punita con la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 5.000 a euro 15.000.
3. Circostanze aggravanti
In relazione alla procedibilità della norma in analisi è opportuno segnalare che si tratta di un delitto punito a querela della persona offesa, il termine per proporla è di sei mesi, come per il reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.).
La querela può essere ritirata solo in fase processuale. La procedibilità è d’ufficio nei casi di cui al quarto comma e quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
4. La situazione del revenge porn in Italia
Nel nostro Paese i dati non sono incoraggianti, si stima che vi siano almeno due episodi di revenge porn o pornografia non consensiente al giorno. La situazione cristallizzata a novembre 2020 dal Servizio analisi della Direzione Centrale della Polizia Criminale ha rilevato ben 718 casi di diffusione illecita di immagini o video “sessualmente espliciti” con l’81 per cento di vittime di sesso femminile.
Molte vittime, supportate da campagne di sensibilizzazione e dalla fiducia che ripongono nell’Autorità, grazie all’introduzione del reato che ha colmato un vuoto legislativo, sono propense a denunciare.
Al contempo, gli autori del reato sono agevolati nella commissione del delitto per via del distanziamento sociale che ha incrementato al 70% l’utilizzo dei Social Network. Un recente sondaggio ha fatto affiorare dei dati allarmanti: su 1600 donne, il 61% ha dichiarato di essersi scattata delle foto intime e di averle condivise con altri, il 23% ha dichiarato di essere stata vittima di revenge porn.
Emblematico è il caso di Telegram, un Social Network dove foto ed immagini di soggetti, ignari vengono barattate come figurine di calcio. Uno studio di Permesso Negato (no-profit di promozione sociale che si occupa del supporto alle vittime di pornografia non consensuale) condotto a novembre 2020 ha scovato circa 89 gruppi e 6 milioni di utenti del Social dedicati alla pornografia non consensuale, alla pedopornografia ed al revenge porn.
Lo studio spiega perché nonostante l’introduzione di pensati pene vi sia una diffusione incessante ed incontrollata del reato: sussiste ad oggi una zona franca per lo scambio di foto non autorizzato costituito dal fatto che Telegram non collabora con le Autorità e la Polizia Postale offrendo i nomi dei propri iscritti e bloccando i gruppi.
L’introduzione della norma costituisce un importante traguardo nella prevenzione di questo tipo di delitti, anche se molto lavoro deve ancora essere svolto dal punto di vista dell’educazione e della sensibilizzazione sociale.
5. Le conseguenze per le vittime
Il revenge porn sortisce delle gravi conseguenze psicologiche, sociali ed economiche in chi lo subisce. Oltre alla intimità violata, la reputazione della persona offesa viene schiacciata dall’esistenza di tracce della propria immagine sul web.
Soprattutto nel caso di sexting, analogamente all’abuso sessuale, si assiste ad una “doppia vittimizzazione”: il fatto che quel contenuto sia autoprodotto rende la vittima meritevole di essere umiliata e denigrata.
Occorre ricordare che il reato analizzato costituisce una forma di cyber bullismo, in simili misfatti gli autori di reato addossano le colpe alla vittima “sostenuti da un pubblico di cyber-spettatori giudicanti” che ne incoraggiano la prevaricazione (Brega/ Perrone). La parificazione di questo reato ad un abuso sessuale è data anche dagli effetti nefasti che esso provoca nella vittima, al senso di vergogna, all’umiliazione, alla depressione all’ansia.
A questi gravi danni morali si aggiungono spesso danni economici come la perdita del lavoro. Non bisogna indugiare nel rivolgersi all’Autorità nel caso in cui si cada vittime dei comportamenti appena descritti.
Occorre inoltre segnalare che il Garante per la Protezione dei dati personali mette a disposizione sul proprio sito un canale di emergenza a tutela di coloro che temono che le proprie immagini intime vengano utilizzate in maniera illecita. Si tratta di una segnalazione preventiva con la quale l’eventuale vittima può rivolgersi direttamente al Garante, tramite la pagina www.gpdp.it/revengeporn, segnalandone l’esistenza e chiedendo che vengano bloccate da Facebook.
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Avv. Simona De Mauri
Fonti:
Art. 612c.p.
Giulia Perrone: Revenge porn: solo una questione di potere?
Roberta Brega e Giulia Perrone : Don't go viral: revenge porn e cyberbullismo
Giulia Perrone e Roberta Brega: Cyber-Odio: Normativa, analisi criminologica e rimedi, Nuova Editrice Universitaria.
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Reva Kunze
Sono l'avv. Simona De Mauri, mi occupo di diritto penale diritto civile, in particolar modo di procedure esecutive, diritto commerciale, assicurativo e famiglia.