L’uso dell’espressione “bimbominkia”: i limiti della sentenza n. 12826/22
Con la sentenza n. 12826 del 18 gennaio 2022 (depositata il 5 aprile 2022), la V sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto che, utilizzare l’appellativo “bimbominkia”, in messaggi postati all’interno di un gruppo Facebook, integri il reato di diffamazione aggravata.
Ed infatti nella pronuncia in oggetto si è ritenuto che tale appellativo fosse lesivo della reputazione del destinatario, in quanto equivarrebbe ad additarlo come soggetto mentalmente ipodotato. Deve preliminarmente osservarsi come la Cassazione non sia effettivamente entrata nel merito della questione, avendo dichiarato inammissibile il ricorso della ricorrente, in quanto ritenuto poco specifico.
Ed infatti la ricorrente, secondo la suprema Corte, avrebbe proposto questioni non afferenti la legittimità, limitando pertanto l’ambito entro il quale la Corte poteva pronunciarsi.
La Corte ha comunque ritenuto non lieve la condotta di chi utilizzi ripetutamente l’appellativo “bimbominkia” in messaggi indirizzati ad un gruppo Facebook con oltre duemila iscritti. In particolare nella sentenza in esame si analizzano due aspetti: da un lato la reiterazione della condotta, avendo la ricorrente utilizzato più volte l’espressione nei confronti della vittima, e dall’altro il tenore dell’appellativo, dovendosi quella espressione essere riferita ad un soggetto intellettivamente poco dotato.
Ebbene, sul punto è doveroso osservare come il social network sia oggi un mezzo potenzialmente assai lesivo della reputazione, atteso l’uso massivo che ne viene fatto e la moltitudine di utenti che raggiunge. Risulta, pertanto, corretto e doveroso valutare le espressioni usate all’interno e per mezzo di un social network, anche da un punto di vista penale, al fine di verificare se le stesse integrino una fattispecie di reato.
Del resto non bisogna dimenticarsi che ogni caso di specie deve essere autonomamente valutato, sia in relazione al contesto in cui le espressioni vengono pronunciate e sia in relazione al tenore che le stesse rivestono in un dato contesto; si fa riferimento all’ipotesi in cui la medesima espressione venga utilizzata con finalità meramente goliardiche e non con intento offensivo.
Ed infatti, la pronuncia della Cassazione deve ritenersi limitata al singolo caso analizzato, non avendo effettuato la Suprema Corte una analisi completa ed esaustiva della tematica, ma essendosi limitata ad affrontare i temi posti dalla ricorrente, ritenuti tuttavia non specifici e non afferenti al giudizio di legittimità costituzionale, bensì a tematiche puramente di merito, escluse dall’analisi della Corte.
Deve, pertanto, ritenersi che la Suprema Corte abbia individuato degli elementi – reiterazione della condotta e tenore dell’espressione usata – sulla base dei quali affermare che l’appellativo “bimbominkia”, utilizzato all’interno di un gruppo Facebook con più di duemila iscritti, integri il reato di diffamazione aggravata.
Tuttavia, non si può ignorare che la pronuncia in esame ha dichiarato inammissibile il ricorso su cui è stata chiamata ad esprimersi, non potendo entrare nel merito della vicenda. Ne consegue che la lesività dell’appellativo utilizzato, nel caso di specie “bimbominkia”, deve essere effettuata caso per caso e con riferimento alla sussistenza degli elementi integrativi del reato di diffamazione, individuati dall’art. 595 c.p. nella lesione dell’altrui reputazione e nella comunicazione con più persone.