Quali imprese possono fallire?
Vediamo brevemente che cos'è il fallimento e chi è assoggettato a questa procedura.
- Cos’è il fallimento e chi è assoggettato a questa procedura. Requisiti oggettivi, soggettivi e dimensionali
- Il Fallimento e le Imprese agricole: la distinzione tra le imprese commerciali e le imprese agricole e la nuova figura dell’imprenditore agricolo
- Fallibilità dell'imprenditore agricolo: i recenti orientamenti della Corte di Cassazione
1.Cos’è il fallimento e chi è assoggettato a questa procedura. Requisiti oggettivi, soggettivi e dimensionali.
Per poter meglio specificare quali siano le imprese soggette alle procedure concorsuali, è necessario fornire una definizione di fallimento.
Il fallimento è il procedimento giudiziario concorsuale liquidatorio che prende le mosse a seguito della pronuncia di una sentenza da parte del Tribunale con la quale l’imprenditore insolvente (ovvero, che non può più adempiere alle obbligazioni assunte) viene dichiarato fallito.
Lo scopo della procedura fallimentare è quello di soddisfare i creditori dell’azienda fallita mediante liquidazione, ovvero la vendita dei beni aziendali o personali. La procedura fallimentare nei confronti di un imprenditore, secondo la legge fallimentare, può essere aperta solo se sussistono presupposti e requisiti precisi (oggettivi, soggettivi e dimensionali).
- Il presupposto soggettivo stabilisce che a fallire possono essere le imprese private (sia ditte individuali, sia società), che esercitano un’attività commerciale, come produzione di beni e servizi, banche e assicurazioni, trasporto, intermediazione. Non possono fallire gli enti pubblici, le imprese non commerciali, i piccoli imprenditori (per l’impresa agricola ci soffermeremo più avanti), chi lavora in proprio o con membri della famiglia.
- In relazione, invece, al presupposto oggettivo, questo è rappresentato dallo stato di insolvenza, intendendosi con questo termine l’impossibilità da parte dell’imprenditore, a soddisfare le proprie obbligazioni, siano esse di natura economica (es. pagamenti) o materiale (es. consegna di merci), o comportamenti come irreperibilità, latitanza, chiusura dei locali, trafugamento. Inoltre, l’imprenditore, per non fallire, deve aver realizzato nei tre anni di esercizio precedenti la data di presentazione dell’istanza di fallimento, ricavi lordi non superiori a duecentomila euro (questo è il cd. ATTIVO); in relazione al PASSIVO (i debiti), deve avere debiti (anche non scaduti) per un ammontare non superiore a cinquecentomila euro, alla data della richiesta di fallimento.
La conseguenza derivante dalla procedura di fallimento è lo SPOSSESSAMENTO: l’imprenditore non perde la proprietà dei propri beni ma non può né gestirli né amministrarli (si parla di beni mobili, immobili, patrimoniali, potestativi ecc ecc…).
2. Il Fallimento e le Imprese agricole
Nel paragrafo precedente abbiamo cercato di delineare i requisiti delle imprese che possono fallire e i caratteri che le differenziano da quelle che, invece, non sono soggette a tale procedura. La domanda che sempre più incuriosisce e che crea numerosi dubbi è: l’imprenditore agricolo può fallire?
La risposta a questa domanda non è di pronta soluzione, dal momento che è necessario partire dalla definizione che fornisce la Legge Fallimentare all’articolo 1 per capire che sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciali, esclusi gli enti pubblici.
Da questa definizione sembrerebbe emergere che le imprese agricole non siano ricomprese tra i soggetti sottoposti alla procedura fallimentare. In realtà, la risposta non è così scontata, dal momento che la modifica operata sull’art. 2135 c.c. ha esteso la figura e le funzioni dell’imprenditore agricolo.
Infatti, è sufficiente leggere con attenzione l’articolo su citato per capire come le attività dell’imprenditore agricolo si siano talmente estese da non ricomprendere più soltanto la coltivazione del fondo: è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge (cfr. art. 2135 c.c.).
Dalla lettura dell’articolo su indicato, appare chiaro come, nel corso del tempo, si sia attenuato il confine tra le attività svolte dall’imprenditore agricolo e quelle svolte dall’imprenditore commerciale.
Appare, altresì, manifesto come, ad oggi, la nozione di impresa agricola ricomprenda anche attività che non richiedono necessariamente un collegamento tra la produzione e l’utilizzazione del fondo. Proprio questo ampliamento della nozione di imprenditore agricolo ha comportato anche delle maggiori tutele ai fini previdenziali ed assistenziali. Infatti, così come previsto anche dalla Corte di Cassazione Civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 5391 del 7 marzo 2018, la nuova formulazione dell'art. 2135 c.c. ha
ampliato la nozione di imprenditore agricolo, rilevante ai fini dell'inquadramento previdenziale nonché della tutela assicurativa (come desumibile dal rinvio alla norma citata operato dall'art. 207 del T.U. n. 1124 del 1965), in quanto, richiamando le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, ha ricompreso tra quelle complementari anche le attività che non presentano una connessione necessaria tra produzione e utilizzazione del fondo, ma unicamente un collegamento funzionale e meramente strumentale con il terreno. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto essere agricola, e conseguentemente che sussistesse l'occasione
di lavoro necessaria a ricomprendere l'infortunio nella tutela assicurativa, una attività di allevamento equino finalizzata alla riproduzione).
2.1 L'imprenditore agricolo professionale(IAP) e quello non professionale: le differenze, le agevolazioni e le novità normative
Abbiamo ampiamente spiegato come oggi l’agricoltura sia considerata un’attività di impresa a tutti gli effetti. Abbiamo anche accennato al fatto che la figura dell’imprenditore agricolo abbia subito delle trasformazioni nel corso del tempo: infatti, si è passati dalla denominazione di imprenditore agricolo a titolo principale (IATP) per arrivare alla nuova e moderna denominazione di imprenditore agricolo professionale (IAP).
Per capire le differenze tra le due figure di imprenditore agricolo, è necessario focalizzare alcuni punti.
Si parla di imprenditore agricolo professionale quando:
- ha competenze professionali e conoscenze adeguate in relazione al lavoro che svolge secondo quanto previsto dall’art. 5 del Regolamento della Comunità Europea n. 1257 del 1999;
- dedica all’attività agricola gran parte del proprio tempo lavorativo;
- ricava dall’attività agricola la prevalenza del proprio reddito;
- orienta la produzione non all’autoconsumo, bensì alla commercializzazione dei suoi prodotti.
In relazione ai requisiti indicati ai numeri 2) e 3), questi sono ridotti del 25% per quegli imprenditori che operano nelle aree svantaggiate, così come definite dall’art. 17 del Regolamento 1257 del 1999 CE.
Inoltre, la qualifica di IAP può essere concessa anche a favore di società.
Infatti, possono essere considerati IAP i seguenti soggetti:
- società di persona con almeno un socio con qualifica IAP;
- società in accomandita con almeno un socio accomandatario con qualifica IAP;
- società cooperative con almeno un quinto dei soci con qualifica IAP;
- società di capitale con almeno un amministratore con qualifica IAP.
Si parla, invece, di imprenditore agricolo non professionale quando costui non è in possesso dei requisiti su specificati, viene accomunato ad un imprenditore appartenente ad altri settori e non ha, quindi, la qualifica IAP.
Le differenze elencate servono per far comprendere che solo l’imprenditore agricolo professionale può accedere alle agevolazioni fiscali e finanziarie. Infatti, nella manovra di bilancio del 2019, sono state introdotte delle novità che riguardano gli IAP (anche nella forma di società), come ad esempio, l’esonero contributivo dall’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti per gli imprenditori agricoli professionali di età inferiore a 40 anni che risultano iscritti alla previdenza agricola tra il 1° gennaio 2020 ed il 31 dicembre 2020.
3. Fallibilità dell'imprenditore agricolo: i recenti orientamenti della Corte di Cassazione.
Alla luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti, è importante ora capire se il nostro imprenditore agricolo sia soggetto alla procedura fallimentare o meno.
E’ molto difficile dare una risposta precisa ed esaustivo a tale interrogativo, soprattutto in vita della nuova figura che si è creata intorno a tale imprenditore. Nel tempo si sono succeduti diversi orientamenti giurisprudenziali sull’assoggettabilità o meno al fallimento da parte dell’imprenditore agricolo che hanno cercato di individuare un discrimen per poter inquadrare meglio le
problematiche sorte.
Infatti, ad oggi, possiamo affermare come, per poter ravvisare o meno un imprenditore agricolo, sia irrilevante la sua forma giuridica, bensì sia fondamentale valutare la presenza della prevalenza dell’attività principale esercitata su quella connessa.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16614/2016, ha focalizzato l’attenzione proprio sul collegamento funzionale dell’imprenditore alla terra, intesa come fattore produttivo, rispetto alle attività cd. connesse.
Da qui la Corte ha concluso affermando che l’esonero dall’assoggettamento alla procedura fallimentare dell’imprenditore agricolo possa esserci nel caso di svolgimento in maniera prevalente dell’attività agricola (intendendosi attività
di coltivazione, di allevamento e di silvicoltura); in caso contrario e, quindi, nel caso di prevalenza delle attività connesse, allora tale esonero verrebbe meno.
Pertanto, potrebbe essere assoggettato al fallimento, ad esempio, l’imprenditore che, pur svolgendo le attività di coltivazione del fondo, di allevamento e di silvicoltura, le svolga in maniera marginale rispetto ad altre attività, quali ad esempio quelle di compravendita di immobili rurali o attività prevalentemente a fini commerciali o industriali.
Ne consegue che, in sintesi, se l’imprenditore esercita realmente ed effettivamente attività agricola e non ha compiuto atti che escludano tali ambiti, allora non andrà incontro al fallimento in caso di dissesto. Se, invece, l’imprenditore, pur agricolo nella forma, abbia svolto un’attività di tipo commerciale o industriale, potrà essere assoggettato alla procedura fallimentare tanto temuta.
Ad avvalorare quanto sopra sintetizzato, si evidenzia una recente pronuncia della Corte di Cassazione Civile, sez. I, 22 febbraio 2019, n. 5342, in base alla quale "risulta soggetta a fallimento l'impresa agricola costituita in forma societaria, quando risulti accertato in sede di merito l'esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull'attività agricola contemplata in via esclusiva dall'oggetto sociale, nonostante la sopravvenuta cessazione dell'attività commerciale al momento del deposito della domanda di fallimento nei suoi confronti".
Giorgia Ballestrazzi
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