Qual è la procedura del licenziamento disciplinare senza preavviso?
Il licenziamento senza preavviso è possibile solo in caso in cui il licenziamento disciplinare sia per giusta causa o sia per giustificato motivo soggettivo.
1. Il licenziamento disciplinare senza preavviso
Nel licenziamento disciplinare si ricomprende sia il licenziamento per giustificato motivo soggettivo (licenziamento con preavviso: articolo 3 legge n. 604/1966) sia il licenziamento per giusta causa (licenziamento senza preavviso: articolo 2119 del codice civile). Quest'ultima ipotesi, ricorre nel caso di condotta colpevole del lavoratore ed integra sempre la fattispecie di licenziamento disciplinare. Giurisprudenza, questa, seguita anche dalla Corte di Cassazione.
La procedura da seguire è quella dettata dall'articolo 7 della legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori). Il datore di lavoro, in breve, deve contestare l'inadempimento al lavoratore in modo che questi possa addurre le proprie giustificazioni e, poi, aspettare cinque giorni prima di adottare la sanzione. In mancanza di tale procedura il licenziamento intimato è illegittimo e l'ordinamento prevede, al riguardo, sanzioni.
2. Procedura per il licenziamento disciplinare senza preavviso
Più in particolare, per quanto riguarda il licenziamento disciplinare senza preavviso, esso deve essere adeguatamente pubblicizzato. Successivamente, il datore di lavoro, deve effettuare una contestazione scritta della violazione di quali norme al lavoratore, affinché questi possa adeguatamente difendersi.
Il lavoratore può difendersi da solo o tramite consulenza di un rappresentante sindacale.
Provvedimenti superiori al rimprovero verbale possono essere applicati soltanto una volta trascorsi cinque giorni dalla contestazione. Nei successivi venti giorni il lavoratore può promuovere la costituzione di un collegio e arbitrato e la sanzione sarà sospesa fino alla pronuncia di tale collegio.
2.1 Procedura di irrogazione del licenziamento disciplinare nel settore privato
Nell’ambito dei rapporti di lavoro di diritto privato, la procedura di irrogazione del licenziamento disciplinare è stabilita dall’art. 7, commi 1, 2 e 3, Legge n. 300/1970 e dall’ art. 2 Legge n. 604/1966.
In primo luogo, si rende necessaria una precisazione preliminare.
Come chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/1982, l’art. 7 commi 1, 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori, rubricato “sanzioni disciplinari”, si applica anche ai licenziamenti intimati per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo.
Infatti, con la pronuncia succitata, i giudici della Consulta hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 7 Legge n. 300/1970 per contrasto con l’art. 3 Cost., come interpretati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 1781/1981.
Ed invero, la Suprema Corte aveva affermato l’applicabilità al licenziamento disciplinare dell’art. 2119 c.c. e delle disposizioni di cui alla Legge n. 604/1966 e non anche della normativa maggiormente garantista di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori. Tuttavia, i giudici di legittimità avevano fatto salvi i casi in cui il licenziamento disciplinare fosse regolamentato da apposite discipline legislative, collettive o validamente poste dal datore di lavoro che non solo collocassero questa misura tra le sanzioni disciplinari, ma che ne prevedessero anche la sottoposizione al regime ex art. 7 Legge n. 300/1970. Il suddetto principio di diritto è stato completamente negato dalla suindicata sentenza della Corte Costituzionale.
Pertanto, ad oggi è pacifica l’applicabilità al licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo delle previsioni di cui all’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, commi da 1 a 3, come confermato dalla prima alinea dell’art. 7 Legge n. 604/1966.
Tanto premesso, si analizza di seguito il procedimento applicabile al licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo.
Anzitutto, le disposizioni che prevedono infrazioni disciplinari, relative sanzioni e conseguenti procedure di contestazione devono essere portate a conoscenza di tutti i lavoratori mediante affissione in luogo a essi accessibile (cfr. art. 7, comma 1, Legge n. 300/1970).
Inoltre, il datore di lavoro non può irrogare alcuna sanzione disciplinare, senza aver precedentemente contestato per iscritto al lavoratore l’addebito ritenuto sussistente nel caso di specie e senza averlo convocato per l’audizione a sua difesa (cfr. comma 2). In questi casi, il prestatore di lavoro è legittimato a farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale a cui è iscritto o a cui conferisce apposito incarico (cfr. comma 3).
In tale ambito vige il principio di immediatezza della contestazione, da intendere in senso relativo, secondo cui la parte datoriale ha l’obbligo di rendere noti al lavoratore i fatti contestati non appena ne ritenga integrati gli estremi. Infatti, non è possibile differire la contestazione al momento in cui sia acquisita assoluta certezza circa la commissione di un’infrazione disciplinare (cfr., ex multis, Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 3532 del 13 febbraio 2012). Pertanto, tenendo conto delle circostanze del caso concreto, si considera immediata la contestazione dell’addebito effettuata dopo il tempo strettamente necessario all’accertamento dei fatti (cfr. Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 282 del 10 gennaio 2008).
Ulteriormente, la contestazione dell’addebito deve soddisfare il requisito della specificità che risulta sussistente quando siano forniti al lavoratore gli elementi necessari ad individuare i fatti imputati a titolo di infrazione disciplinare (cfr. Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 9590 del 18 aprile 2018). La specificità della contestazione è funzionale all’esercizio del diritto di difesa da parte del prestatore di lavoro incolpato e deve essere valutata esclusivamente dal giudice di merito, salvi i casi di illogicità e incongruenza dell’accertamento compiuto (cfr. Cass. civ., Sezione lavoro, sent. n. 13667 del 30 maggio 2018).
Ad ogni modo, la parte datoriale non può irrogare le sanzioni disciplinari più gravi del rimprovero verbale, tra cui il licenziamento disciplinare, se non siano trascorsi almeno cinque giorni dalla contestazione scritta del fatto addebitato (cfr. comma 5). La suddetta previsione ha la finalità di consentire al lavoratore incolpato, nel termine di cinque giorni dalla contestazione, di presentare scritti a sua difesa e/o di chiedere di essere sentito.
Terminata la fase istruttoria, in presenza dei presupposti della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro deve irrogare la sanzione del licenziamento disciplinare con provvedimento redatto per iscritto e contenente l’indicazione dei motivi che ne sono a fondamento (cfr. art. 2, commi 1 e 2, Legge n. 604/1966).
Qualora non siano rispettati i suddetti requisiti di forma, il licenziamento è inefficace (cfr. comma 3).
Infine, ai sensi dell’art. 1, comma 41, Legge n. 92/2012, il licenziamento intimato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, all’esito del procedimento di cui all’art. 7, commi da 1 a 3, Legge n. 300/1970, produce effetti dal giorno della contestazione scritta dell’addebito, salvo i casi in cui il lavoratore ha diritto al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva.
3. Come cambia la procedura di licenziamento con il Jobs Act
Dopo l'entrata in vigore del Jobs Act, vengono previste sanzioni differenziate per i lavoratori assunti prima o dopo la data del 7 marzo 2015:
- per i lavoratori a tempo indeterminato assunti prima di tale data se il licenziamento supera le soglie dimensionali di cui all'articolo 18 dello statuto dei lavoratori, si applica lo stesso articolo così come è stato modificato nel 2012. In caso di insussistenza del fatto contestato o di fatto rientrante tra le condotte punibili con una sanzione conservativa, il datore di lavoro può essere condannato a reintegrare il lavoratore. Se il licenziamento è sotto quelle soglie si applica, invece, l'articolo 2 legge n. 108/1990 (indennizzo economico per il lavoratore illegittimamente licenziato);
- per i lavoratori a tempo indeterminato assunti dopo il 7 marzo 2015 si applicano le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 23/2015. Tale decreto riduce drasticamente le ipotesi in cui il giudice può ordinare la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel posto di lavoro. Il datore di lavoro può essere obbligato alla reintegrazione soltanto dopo che sia stata dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale addebitato al lavoratore.
Il lavoratore potrà chiedere la consulenza di un avvocato affinché egli possa offrirgli adeguata tutela legale. È possibile, inoltre, interpellare un avvocato online per ogni dubbio o chiarimento normativo.
Erica Mesoraca
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