Licenziamento per finta malattia
Se è vero che è un sacrosanto diritto del lavoratore assentarsi dal lavoro quando è malato, è anche vero che molti ne abusano.
Capita spesso, infatti, di leggere sui giornali (o quasi sempre su Facebook) di dipendenti che si fingono malati per farsi un paio di giorni di vacanza al mare. Come non ricordare il famoso caso, balzato sugli onori della cronaca di qualche anno fa, riguardante i vigili del comune di Roma, i quali si sono finti malati il giorno di capodanno.
Sono molti, dunque, i datori di lavoro che affrontano situazioni spiacevoli dove i dipendenti lamentano malattie immaginarie per non andare a lavoro. E allora cosa può fare il datore di lavoro? Deve rimanere a subire silenzioso questo ingiusto comportamento o può reagire tramite il licenziamento per finta malattia?
Il datore di lavoro non solo può ma deve reagire a questi comportamenti scorretti, che devono essere severamente puniti: ne vale del bene della sua azienda e degli altri dipendenti diligenti.
La prima cosa da fare è accertarsi della falsità della malattia mediante qualsiasi prova e poi si potrà procedere al licenziamento per finta malattia. In ogni caso, è sempre consigliato rivolgersi ad un legale esperto di diritto del lavoro, che saprà indicare i provvedimenti più opportuni da adottare.
Vediamo ora nello specifico quando si configura un licenziamento legittimo per finta malattia.
1. Diritto ad assentarsi per malattia
Ciascun dipendente ha il diritto ad assentarsi dal lavoro per motivi di salute e ad essere ugualmente retribuito.
La retribuzione è corrisposta dal datore di lavoro nei primi 3 giorni e dal 4° giorno in poi è corrisposta dall’INPS; essa sarà così ripartita:
- Fino al 4° giorno di malattia: 100% della paga media giornaliera
- Dal 4° al 20° giorno di malattia: 50% della paga media giornaliera
- Dal 21° al 180° giorno: 66,66% di paga media giornaliera
Riguardo ai dipendenti pubblici il discorso è parzialmente diverso. Essi, infatti, percepiscono un’indennità pari all’80% della paga media giornaliera per l’intera durata della malattia.
Stando così le cose, è nell’interesse sia del datore di lavoro sia dell’INPS accertarsi della veridicità della malattia lamentata dal lavoratore. E questo accertamento viene fatto sottoponendo il lavoratore alla visita del medico fiscale, visita che viene eseguita presso il suo domicilio in determinate fasce orarie, che sono:
- Dipendenti privati: dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 19.00
- Dipendenti pubblici: dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00
E se il lavoratore non dovesse essere a casa?
A dispetto di quanto si potrebbe credere, il lavoratore non potrà essere licenziato. Invero, il lavoratore ha la possibilità di giustificare l’assenza e, solo qualora si renda irreperibile in maniera ingiustificata per la terza volta consecutiva, sarà soggetto a sanzioni pesanti che possono portare alla perdita dell’indennità.
2. Denuncia all’Inps
Il lavoratore, che lamenta l’impossibilità di lavorare per motivi di salute, deve recarsi nel più breve tempo possibile (e comunque entro 48 ore) dal proprio medico di famiglia e avvertire il suo datore di lavoro. Una volta accertata la patologia con relativa diagnosi e prognosi, il medico di famiglia dovrà fare denuncia (cioè dichiarare) all’Inps la malattia del lavoratore. A seguito di questa comunicazione, il lavoratore viene di regola sottoposto alla visita fiscale. Ricapitolando, l’iter è il seguente:
- Il lavoratore si reca dal medico di famiglia
- Il medico di famiglia denuncia all’Inps per via telematica
- Visita fiscale
3. Licenziamento per finta malattia
Durante il periodo di malattia il lavoratore potrebbe, però, essere sorpreso a compiere attività che secondo quanto dichiarato dai medici non avrebbe mai potuto svolgere. Pensiamo, ad esempio, al caso in cui il lavoratore lamenti un dolore alla schiena che, a suo dire, gli impedirebbe di recarsi a lavoro e poi, invece, viene ritratto in una foto a passeggiare.
E allora che dovrà fare il datore di lavoro?
Egli potrà procedere al licenziamento legittimo per giusta causa, purché riesca a dimostrare che siamo in presenza di una finta malattia. Ciò che conta, infatti, non è quanto è scritto nel certificato medico bensì l’effettività della malattia.
La finta malattia, dunque, può essere definita come giusta causa, cioè come l’evento che rende impossibile la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto di lavoro (art. 2119 c.c.). Sono, infatti, giusta causa le gravi inadempienze contrattuali e tutti quei fatti e comportamenti che fanno venir meno la fiducia su cui si basa il rapporto di lavoro. D’altronde, il lavoratore, fingendosi malato e impegnando il suo tempo altrove, viola i suoi doveri contrattuali, compromettendo irrimediabilmente il rapporto. Un siffatto comportamento, infatti, denota mala fede e slealtà nei confronti del datore del lavoro, determinando una sfiducia totale che rende impossibile proseguire, anche provvisoriamente, il rapporto di lavoro.
Procedendo al licenziamento per finta malattia, il datore di lavoro non andrà incontro alle conseguenze sfavorevoli, tipiche del licenziamento senza giusta causa, quali la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento dei danni.
Beninteso, non qualsiasi finta malattia darà luogo ad un licenziamento legittimo. È necessario, infatti, che il comportamento scorretto tenuto dal lavoratore (la finta malattia) abbia recato notevoli danni all’azienda. Ad esempio, la finta emicrania del dipendente durata solo un giorno non potrà legittimare un licenziamento per finta malattia.
4. Come dimostrare una falsa malattia?
Come abbiamo appena detto, il lavoratore potrebbe rendersi irreperibile oppure il medico fiscale potrebbe riscontrare il buon stato di salute a dispetto di quanto dichiarato dal lavoratore. Ebbene – e questa è la realtà – sono rarissimi i casi in cui ciò accade.
Nella quasi totalità dei casi la visita fiscale va a buon fine e il medico certifica la presenza della malattia addotta dal lavoratore.
E allora come può il datore di lavoro dimostrare che il lavoratore sta mentendo?
Il datore potrà condurre delle indagini volte a fondare il licenziamento per finta malattia; potrà prendere in considerazione tutti quei comportamenti tenuti dal lavoratore e che siano incompatibili con la presunta patologia dallo stesso dichiarata.
In linea generale, sarebbe inibito al datore di lavoro effettuare qualsiasi controllo sull’idoneità e sull’infermità per malattia del lavoratore, salvo quello disposto tramite il servizio ispettivo dell’INPS, il medico fiscale appunto (art. 5 l. 20 maggio 1970, n.300, cd. Statuto dei lavoratori).
Il datore, tuttavia, ha il dovere di tutelare il suo patrimonio aziendale e gli altri dipendenti. Egli può contestare i certificati medici attestanti la presunta finta malattia attraverso qualsiasi circostanza di fatto, atta a dimostrare l’insussistenza della malattia o la minore gravità della stessa.
Il datore può compiere varie indagini volte ad accertare cosa fa realmente il lavoratore durante la malattia. E per compiere tali indagini può addirittura rivolgersi ad un’agenzia investigativa, debitamente autorizzata a compiere la sua attività, affinché questa scopra le attività compiute dal lavoratore alla luce del sole. O ancora può servirsi di social network quali Facebook o Instagram e rintracciare foto e post che diano prova della buona salute del dipendente. Pensiamo, ad esempio, a quel lavoratore – e sono anche moltissimi oggigiorno - che dichiara di sentirsi male, pur trovandosi in vacanza.
Le prove così acquisite, come anche le foto di Facebook, possono essere portate in giudizio e fatte valere come prove giustificanti il licenziamento legittimo ove il lavoratore dovesse impugnare il licenziamento per finta malattia.
Da non trascurare, infine, è il fatto che il lavoratore licenziato per finta malattia potrebbe essere denunciato per truffa dal datore di lavoro.
Fonti normative
- Codice civile: art. 2119 c.c.
- 20 maggio 1970, n. 300: Statuto dei lavoratori
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