Si può licenziare un invalido civile?
La disabilità può portare a limitare le capacità lavorative dei soggetti che ne sono affetti. A tal proposito, per evitare disparità, la legge garantisce ai lavoratori invalidi gli stessi diritti e tutele di qualsiasi altro lavoratore, inoltre essi godono di una sorta di “privilegio” per quanto riguarda le modalità di licenziamento.
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1. Cosa si intende con invalidità civile
Vengono considerati invalidi civili i cittadini affetti da una minoranza fisica, psichica o sensoriale e che abbiano per questo una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo.
L’invalidità può, quindi, essere considerata come una difficoltà nello svolgimento di quelle che sono le funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione, la quale comporta una situazione di svantaggio dal punto di vista socio-relazionale.
L’invalidità si definisce civile quando non deriva da cause di servizio, di guerra o di lavoro. Le persone invalide, a seguito della loro condizione, godono di alcuni benefici all’interno della società, ma ciò a condizione che esse abbiano ottenuto il riconoscimento di invalidità civile. L’entità dei suddetti benefici dipende dalla gravità della menomazione.
Il riconoscimento dello stato di invalido civile può essere richiesto:
- dall’interessato che si ritiene invalido;
- da colui che rappresenta legalmente l’invalido, per esempio i genitori in presenza di minori;
- dalla persona che cura gli interessi dell’invalido, per esempio il curatore.
Il riconoscimento dell’invalidità spetta all’ASL di appartenenza, la quale decide in merito servendosi di una specifica commissione medica.
Possono presentare domanda di invalidità le persone che hanno i seguenti requisiti:
- i cittadini residenti in Italia;
- i cittadini stranieri, comunitari legalmente riconosciuti, iscritti all’anagrafe del comune di residenza;
- i cittadini stranieri che abbiano ottenuto il permesso di soggiorno da almeno un anno.
2. Invalidità e diritto al lavoro
Il disabile ha lo stesso diritto al lavoro che ha un lavoratore abile, a tal proposito la legge 68/1999 ha previsto una serie di interventi tecnici e di supporto affinché tale diritto possa essere esercitato. I suddetti interventi permettono di valutare in modo adeguato le persone con disabilità nella loro capacità lavorativa, cosi da poterli inserire nel modo del lavoro attribuendogli una mansione adatta alla loro condizione.
La legge in questione ha inserito i disabili in una specifica collocazione, quella di categoria protetta, facendovi rientrare quei soggetti ai quali è riservata una quota di assunzione, ponendo, inoltre, in capo ai datori di lavoro obblighi riguardanti il numero di soggetti appartenenti a tale categoria da includere nell’organico aziendale. Nello specifico, le aziende che hanno più di quindici dipendenti, sono obbligate ad assumere un numero di lavoratori disabili ed in relazione a ciò godono di alcune agevolazioni fiscali.
Gli appartenenti alle categorie protette che abbiano più di 15 e meno di 65 anni e sono disoccupati, possono iscriversi alle liste di collocamento mirato presso i centri per l’impiego.
3. Cause di licenziamento di un invalido civile
La legge sopra citata, dunque, regola la posizione del lavoratore disabile facendo in modo che quest’ultimo, vista la sua menomazione, possa godere di un certo “privilegio” anche per quanto concerne le procedure di un eventuale licenziamento.
A tal proposito, vengono stabilite quelle che possono considerarsi le cause che possono potare al licenziamento di un lavoratore invalido, ricordando che per quest’ultimo valgono le stesse norme che regolano i rapporti di lavoro per tutti i dipendenti in generale.
Di seguito, le cause che possono portare al licenziamento di un lavoratore appartenente alle categorie protette:
- mancato superamento del periodo di prova. In tal caso, se il lavoratore lo richiede, il datore di lavoro dovrà fornire, nello specifico, una motivazione valida, seria e obbiettiva a supporto del licenziamento, pena la nullità dello stesso;
- giusta causa. Il datore di lavoro deve poter dimostrare l’impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro;
- giustificato motivo soggettivo. Quando il lavoratore si dimostra assolutamente inadatto alla mansione attribuitagli ed è impossibile la sua ricollocazione in un altro settore;
- superamento del periodo di comporto, ossia quando si supera quel lasso di tempo nel quale il lavoratore, pur essendo assente, ha diritto alla conservazione del posto di lavoro;
- aggravamento dell’invalidità, tale che il lavoratore non sia più adatto all’attività lavorativa e ciò sempre dietro parere di una commissione medica.
In tutto questo contesto la legge attribuisce, anche al datore di lavoro che ha dipendenti disabili, alcune tutele. Con sentenza n. 28426/2013 si è stabilito che il datore può intimare il licenziamento dell’invalido adducendo come motivazione la riduzione del personale, a patto che il numero di dipendenti rimossi sia inferiore alla quota di riserva prevista dalla normativa in vigore.
3.1 Licenziamento per invalidità sopravvenuta
Va chiarito che può essere illegittimo il licenziamento di un lavoratore appartenente alle categorie protette, se ciò è motivato da una sopravvenuta invalidità, intendendo con ciò una disabilità che colpisce un dipendente che al momento della conclusione del contratto era in salute e senza disabilità.
Nello specifico, se un dipendente subisce un’invalidità nel corso della propria carriera lavorativa, questo potrà essere licenziato soltanto nel caso in cui la malattia gli impedisca di svolgere la mansione per la quale era stato assunto e qualsiasi altro tipo di mansione all’interno dell’azienda.
In tal caso il lavoratore non avrebbe più capacità lavorativa, incapacità che dovrà comunque essere accertata da una commissione medica, la quale dovrà verificare l’aggravamento delle condizioni di salute del dipendente ed anche l’impossibilità di reinserimento dello stesso. Concludiamo dicendo che nel momento in cui si stabilisce che il soggetto non abbia più alcuna capacità lavorativa residua, potrà fare richiesta agli organi competenti al fine di ottenere l’assegno di incollocabilità.
Fonti normative
Legge n. 68 del 1999
D. lgs n.76 del 2013
Sentenza Cassazione Unite n. 28 del 2013
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